Siccome in tempi di confusione ogni esercizio di pensiero può rivelarsi utile, vorremmo qui prendere sul serio Matteo Renzi. D’altronde, apprestandoci a prendere sul serio Mastella e chissà chi altro, l’alterigia intellettuale pare fuori luogo. Renzi, dicevamo. Nelle sue dichiarazioni di mercoledì, ci sono un paio di frasi che vorremmo sottolineare: “Il Recovery Plan è una grande cosa: da trent’anni l’Europa non ci dava la possibilità di spendere e per trent’anni non spenderemo più. Tra due anni questi chiudono non solo la Borsa, ma proprio la finestra di opportunità”. E ancora: “Quando vi diciamo che il Mes ha meno condizionalità del Recovery vi diciamo la verità”. Concetti che, se non sono del tutto veri, flirtano con la verità: ieri un articolo della newsletter Eurointelligence di Wolfgang Münchau, ad esempio, rivelava – grazie alle minute dell’ultimo board – come il conflitto sotterraneo in seno alla Bce sui piani di acquisto in corso sia pronto a esplodere in futuro. Il cosiddetto “PEPP”, d’altra parte, finisce a marzo 2022, l’anno dopo tornerà probabilmente in vigore il Patto di Stabilità: abbiamo due anni… Se Renzi ha colto il punto, è curioso che l’azione politica di Italia Viva si sia concentrata sull’aumentare la quota di prestiti del Recovery sui progetti aggiuntivi, cioè la parte del piano che ha – come i trasferimenti – condizioni molto forti (obiettivi non tarati sui bisogni italiani, vincoli di spesa, tempistiche strette, possibili ricatti sul bilancio pubblico) e contemporaneamente quasi nessun vantaggio macro-economico che non sia il risparmio, oggi pressoché irrilevante grazie alla Bce, sul costo del debito. Il Recovery Plan com’è oggi, cioè come lo ha voluto Renzi – se si crede che tra due anni l’Europa tornerà all’austerità (“chiuderà la finestra di opportunità”) – è solo un modo per svuotare il bilancio dello Stato di qualunque autonomia di spesa per il prossimo settennato: a prenderlo sul serio, insomma, si dovrebbe dire che Renzi non capisce quel che dice. Solo una cosa ci spinge a usare il condizionale: tanto se, come pensa l’ex premier, tra due anni non avremo il sostegno della Bce e il Patto di Stabilità sarà di nuovo in vigore, saremo fregati comunque, Recovery o meno, Conte o meno, Renzi o meno.
Marco Palombi sul Fatto Quotidiano