Referendum cannabis a rischio, Vincenzo Donvito (presidente di Aduc): illeciti dei Comuni con gaudio del regime partitocratico

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Quando sono state raccolte in una settimana 500mila firme per indire il referendum di depenalizzazione della cannabis – afferma in una nota che pubblichiamo Vincenzo Donvito presidente di Aduc (qui altre note Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr) –, quasi tutti i media hanno ospitato opinioni di persone ufficialmente togate (a loro avviso) per esprimere opinioni su come lo strumento referendario debba essere riformato.

Abbiamo letto di tutto e di più con una costante: preoccupazione perché con l’introduzione della firma via Spid sarebbe troppo facile la raccolta firme. Pochissime le opinioni di coloro che hanno visto in questo exploit di firme una crisi del sistema parlamentare, non attento alle istanze dei cittadini. Sulla materia cannabis, tra l’altro, sono decenni che al Parlamento sono state sottoposte petizioni e progetti di legge d’iniziativa popolare, tutti puntualmente lasciati nei cassetti.

Insomma, media dilaganti su: il problema cannabis è marginale, sono altre le priorità; l’attuale legge referendum, con l’uso dello Spid, è istituzionalmente pericolosa. Mai letta, dai tempi dei referendum di Marco Pannella, tanta letteratura in materia.

E di questi giorni l’allarme del comitato promotore del referendum cannabis: le firme non solo vanno raccolte, ma corredate del certificato elettorale di ogni sottoscrittore. Certificato che va chiesto al Comune dove l’elettore è iscritto e il Comune deve rendere il certificato entro 48 dalla richiesta. Spedite le richieste con pec a tutti i Comuni, ad oggi sono pochissimi quelli che hanno risposto… e le 48 ore entro cui avrebbero dovuto farlo sono ampiamente trascorse.

Il 30 settembre le firme e i certificati vanno consegnati in Cassazione, altrimenti ci sarà solo un bel ricordo politico della fiammata civica sulla non criminalizzazione della marijuana.

Una scappatoia ci sarebbe, come per gli altri referendum in corso (eutanasia, giustizia e caccia) ma la cui richiesta era stata depositata in Cassazione a giugno scorso: la consegna in Cassazione è stata prorogata con legge ad hoc al 30 ottobre. Non vi rientra il referendum cannabis perché è stato chiesto ai primi di settembre. La scappatoia sarebbe di estendere anche a questo referendum la deroga concessa agli altri e, così, recuperare gli inadempimenti dei Comuni che non rispettano la legge. Per ora: manifestazioni, appelli, un paio di parlamentari che lo hanno anche chiesto in Parlamento… ma non accade nulla.

Torniamo sui media e sugli opinionisti togati ad esprimere pareri giuridici e non solo. Sulla vicenda dei Comuni, a parte alcuni casi si registra silenzio imbarazzante. Eppure, come ci sono state tante opinioni per – nel rispetto dei diritti dei cittadini – cercare di porre limite al presunto dilagare di una democrazia referendaria che potrebbe esautorare quella parlamentare… materia per disquisire ce ne sarebbe anche sul diritto dei firmatari referendari a vedere rispettata la legge da parte dei Comuni. Ma sembra che lo scippo comunale con illegalità sia cosa gradita, e quindi: silenzio! Sembra che leggi e diritto ci siano solo quando funzionali all’assetto del regime partitocratico, non come valori della nostra comunità.

Vincenzo Donvito, Aduc