Arrivano le prime risposte al nostro “appello” a parlare della chiamata del “popolo” alle urne referendarie per il 29 marzo per confermare o meno il taglio dei parlamentari dopo che la richiesta, firmata da 71 senatori e depositata il 10 gennaio 2020, è stata dichiarata dalla Cassazione conforme all’articolo 138 della Costituzione: “Referendum sul taglio dei parlamentari il 29 marzo ma se ne parla poco: VicenzaPiu.com pronto a raccogliere le varie posizioni“.
Ecco quella di Giorgio Langella, segretario regionale del Pci del Veneto
Sulla questione del referendum sul taglio dei parlamentari è bene pensare al suo effettivo significato e a cosa comporta. Si sostiene che, così, verranno risparmiate risorse che si potranno destinare al Welfare. I soldi, però, sarebbero effettivamente pochi. È logico pensare che il Welfare (sanità, istruzione, servizi sociali …) abbia bisogno di ben altro. Un piano, innanzitutto, che contrasti e impedisca la progressiva privatizzazione e che, quindi, sarebbe più opportuno avere una disponibilità ben più alta dei circa 57 milioni di di euro (secondo autorevoli calcoli) che si avrebbero dalla diminuzione del numero dei parlamentari.
Risorse che potrebbero essere trovate se non si acquistassero i cacciabombardieri F35 (si tratta di miliardi di euro), se si ritirassero i contingenti militari all’estero che servono soprattutto a proteggere gli interessi di multinazionali piuttosto che garantire la pace (e sono milioni di euro al giorno). E tanti miliardi dall’evasione fiscale, da una tassazione più alta per i grandi profitti e le retribuzioni più ricche, da una patrimoniale sulle grandi ricchezze (solo i dieci italiani più ricchi possiedono ricchezze per un totale di oltre 100 miliardi di dollari). Ma queste cose non si vogliono fare. Troppi sono gli interessi soprattutto privati in gioco.
Per la patrimoniale e per una maggiore aliquota per gli introiti annuali oltre una certa cifra (ad esempio 300.000 euro) tutte le forze politiche che siedono in parlamento gridano allo scandalo. Ci dicono che non si può fare senza molti argomenti. È così, una specie di dogma. I ricchissimi non devono essere toccati. Ma una sana riforma fiscale che preveda aliquote più basse per i redditi minori e aliquote maggiori per quelli alti e una patrimoniale sulle grandi ricchezze, sarebbe solo un’applicazione di quella equità fiscale prevista in Costituzione.
I soldi, e tanti di più di quelli risparmiati col taglio dei parlamentari, si saprebbe dove trovarli e prenderli.
E comunque, se si volesse dare un segnale dalla “politica”, si potrebbero tagliare i privilegi degli onorevoli e contenere gli emolumenti a loro devoluti.
Tagliare il numero dei parlamentari, invece, comporterebbe una minore rappresentanza dei cittadini in Parlamento. Qualcosa che andrebbe verso il suo progressivo svuotamento e che provocherebbe un sostanziale aumento di privilegi per pochissime persone verso un sistema sempre più simile a una oligarchia e sempre più distante da una vera democrazia.
Se poi questo taglio si collega alle richieste ricorrenti di elezione diretta del “premier”, il disegno di stravolgimento costituzionale sarebbe realizzato con l’irrilevanza anche numerica del parlamento di fronte allo strapotere di un uomo solo al comando.
Si tenga anche conto che tagliando il numero di parlamentari si otterrebbe anche la probabile (se non certa) cancellazione di rappresentanti delle minoranze (si parla comunque di milioni di voti) di intere regioni e la trasformazione di una seppur debole democrazia come la nostra in un’oligarchia sarebbe compiuta.
Il problema che è cresciuto in questi ultimi decenni nelle istituzioni del nostro paese, non è il numero dei parlamentari (che in definitiva non sono tantissimi in relazione al numero di abitanti … ogni deputato, ad esempio, rappresenta circa 100.000 cittadini) ma il fatto che la competenza degli eletti sia di livello bassissimo. Un disastro che non risparmia nessuno. Un livello “claudicante” (quando va bene) ingigantita dalla presenza di personaggi inqualificabili, nominati grazie a leggi elettorali che premiano l’appartenenza a qualche categoria privilegiata e alle scelte dei “baroni” di partiti e movimenti.
La soluzione sarebbe quella di ritornare alla Costituzione originale che si basava su un sistema elettorale proporzionale senza sbarramenti secondo la regola democratica della più ampia rappresentatività della realtà del paese.
Sparirebbero le corse al “voto utile” e all’appiattimento verso il pensiero unico o quello che si ritiene vincente. E, molto probabilmente, si avrebbero eletti che rappresenterebbero meglio gli elettori e sarebbero meno “dipendenti” dai capi-partito che li hanno voluti in lista. Ampliare la composizione del Parlamento significherebbe dargli più autorevolezza e competenza, togliendogli quella odiosa caratteristica di “votificio” di leggi volute e imposte spesso da poteri esterni al Parlamento.
Una situazione che vediamo e viviamo ogni giorno e che va in direzione contraria alla democrazia. Risolvere questo enorme problema con il taglio del numero dei parlamentari è solo una falsa soluzione messa in campo da un populismo becero, infantile e pericoloso per confondere le idee e sviare l’attenzione dai problemi reali del nostro paese.
È, quindi, soprattutto per garantire la democrazia e la rappresentanza dei cittadini che è necessario impegnarsi perché il NO vinca al prossimo referendum costituzionale.
Giorgio Langella, segretario regionale del Pci Veneto
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