Referendum in Ohio boccia innalzamento al 60% della maggioranza per cambiare la “Costituzione”: il legame con i limiti all’aborto ora “decisi” dagli Stati

Ohio vota contro l'Issue 1 (nella foto AP Photo/Jay LaPrete Dreida Reese)
Ohio vota contro l'Issue 1 (nella foto AP Photo/Jay LaPrete Dreida Reese)

Laura Ingraham, una delle stelle di Fox News, la rete conservatrice di Rupert Murdoch, ha espresso queste parole subito dopo la recente sconfitta dei conservatori nel referendum in Ohio che avrebbe modificato la costituzione statale: “Il rovesciamento di Roe vs Wade è il più grande risultato ottenuto dal movimento conservatore dalla fine della guerra fredda”. Con queste parole,  la Ingraham ha lodato la decisione della Corte Suprema di porre fine al diritto federale sull’aborto e rimandando il controllo agli Stati. Ingraham ha continuato asserendo che i conservatori dovrebbero “esserne orgogliosi”.

La misura, appena bocciata in Ohio, avrebbe innalzato la soglia dalla semplice maggioranza al 60 percento per l’approvazione dei referendum. Il legame con l’aborto non sembra ovvio ma c’è eccome.

Dopo la decisione della Corte Suprema sull’aborto l’anno scorso una serie di “red states”, ossia conservatori, hanno approfittato per ridurre il diritto all’aborto. L’Ohio, dominato dai repubblicani al livello legislativo e esecutivo, ha approvato una legge riducendo il diritto all’aborto a 6 settimane dal concepimento, quando non poche donne sono spesso ignare di essere incinte. La Corte Suprema dello Stato sta considerando la legalità di questa nuova legge e dunque quella precedente nazionale rimane ancora in vigore, almeno temporaneamente. Gli attivisti pro-aborto però stanno raccogliendo firme per un referendum che manterrebbe il diritto all’aborto per le prime 22 settimane di gravidanza. I repubblicani però hanno deciso che per rendere più difficile l’approvazione di questo referendum alla votazione nel mese di novembre cambierebbero la costituzione alzando l’asticella alla super maggioranza del 60 percento. Non ci sono riusciti poiché solo il 43% ha votato a favore.

I repubblicani in Ohio hanno cercato di spiegare il referendum asserendo che l’aumento della soglia al 60 percento ridurrebbe l’influenza di soldi che entrano nello Stato da altri luoghi per campagne politiche. Hanno una piccola dose di ragione poiché la questione dell’aborto echeggia in tutta la nazione. Difatti più di 32 milioni di dollari sono stati spesi nella campagna sul referendum, metà per ognuna delle due parti, l’80 percento dei quali sono stati contributi da altri Stati. Ma la loro ipocrisia diventa chiarissima poiché nel mese di dicembre del 2022 avevano stabilito di non indire elezioni nel mese di agosto dato il basso afflusso alle urne. Quando è stato tenuto il recente referendum? Proprio nel mese di agosto quando loro speravano che il basso afflusso avrebbe funzionato per far pendere l’esito a loro favore.

Si sono sbagliati ovviamente. Gli elettori del Buckeye State si sono presentati in massa e hanno bocciato la loro proposta che avrebbe consolidato il potere della minoranza che col solo 40 percento degli elettori avrebbe poturo imporre il suo volere in un sistema democratico. Ciononostante il potere dei repubblicani nell’Ohio è già spropositato considerando il fatto che con poco più del 54 percento dei voti ricevuti, secondo dati degli ultimi dieci anni, sono riusciti a conquistarsi la super maggioranza alle due Camere e eleggere anche un governatore repubblicano.

Il referendum in Ohio è fallito in buona misura per la reazione creatasi dopo la revoca dell’aborto a livello nazionale. Con una coalizione che include principalmente i consensi di democratici ma anche di una fetta di elettori repubblicani e indipendenti il diritto all’aborto ha galvanizzato cittadini in Ohio come si era già visto altrove. Nel Kansas, Montana e nel Kentucky, altri tre “red states”, gli elettori hanno reagito e ristabilito il diritto all’aborto in maniere poco differenti da ciò che esisteva prima della revoca della Corte Suprema. In un’altra decina di Stati conservatori che permettono il referendum si prevedono simili risultati in cui i cittadini proporranno il ripristino del diritto all’aborto. In alcuni di questi si tratterà di un percorso in salita poiché la costituzione, come in Florida, richiede la soglia del 60 per cento per la modifica dello statuto.

La decisione della Corte Suprema dell’anno scorso di eliminare il diritto nazionale all’aborto è vista negativamente dal 61 percento degli americani, secondo un sondaggio Gallup dell’anno scorso. Più recentemente, sempre secondo Gallup, il 69 percento degli americani crede che l’aborto dovrebbe essere legale nei primi 3 mesi di gravidanza. Questi dati si allineano molto di più con la visione dei democratici che non esitano a mettere la questione in primo piano nelle campagne elettorali. I repubblicani, invece, cercano di starne lontani preferendo concentrarsi sull’immigrazione e la paura degli stranieri.

Il diritto all’aborto non si tradurrà necessariamente in successi alle urne per i democratici perché non è l’unica preoccupazione dell’elettorato. Ciononostante quella fetta dell’elettorato che decide le elezioni presidenziali nei cosiddetti “swing states”, stati in bilico che a volte vanno ai repubblicani e a volte ai democratici, favorisce i democratici. L’idea di eliminare il diritto all’aborto nei red states aggrava, però, la polarizzazione del Paese ma d’altra parte fa sperare che i diritti conquistati dai gruppi minoritari negli ultimi decenni verranno mantenuti, anche se non completamente, e quei candidati che li sostengono saranno premiati alle urne.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.