Regionali 2020 e referendum sul taglio dei parlamentari: tutti esultano, ma chi ha perso? Analisi della schizofrenia di questa tornata elettorale

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elezioni voto
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Il Veneto del focolaio della pandemia, del Mose e della Pedemontana, la Puglia dell’estenuante trattativa con ArcelorMittal e della sanità devastata, la Liguria del crollo del Ponte Morandi e della sua ricostruzione, la Campania dell’atavica questione dei rifiuti, della terra dei fuochi e della camorra: tutte queste regioni vedono non solo confermati gli schieramenti al governo delle loro amministrazioni, ma vedono acclamati ad ampi voti i loro governatori uscenti.

Michele Lucivero
Michele Lucivero

I numeri della vittoria plebiscitaria di Zaia in Veneto, seguiti da quella di Toti in Liguria e di De Luca in Campania dimostrano una fiducia incrollabile della popolazione nei confronti della gestione personale del potere da parte di soggetti che rimangono ancorati ai due grandi schieramenti in campo, che possiamo ancora definire di centrodestra e di centrosinistra, sebbene su posizioni critiche, talvolta distanzianti, come quella di Zaia nei confronti di Salvini.

E nel resto dell’Italia, poi, in Toscana resta confermato il centrosinistra, sarà così probabilmente ancora per un paio di tornate elettorali, finché non si esaurisce anche lì l’onda lunga di una tradizione storica che ormai nessuno si cura più di coltivare, proprio come è accaduto nelle Marche, che dopo 25 anni passa al centrodestra.

Ebbene, a giudicare dalle dichiarazioni dei leader nazionali e locali sembra siano rimasti tutti soddisfatti e contenti dei risultati elettorali, che confermano, tutto sommato, un massiccio bipolarismo, scoraggiato anche da uno sbarramento potentissimo dell’8% in Puglia e del 5% in Veneto, ad esempio.

Insomma, con tre regioni al centrodestra e tre al centrosinistra appaiono tutti appagati dai risultati e, in fondo, anche i rappresentanti dei Movimento 5 Stelle, che, ricordiamolo, è al governo con il presidente Giuseppe Conte e il suo fido Luigi Di Maio, e che si aggira, nella migliore delle ipotesi, intorno ad un misero 10% in un paio di regioni, a anche loro, in fondo, esultano per la vittoria del al referendum sul taglio dei parlamentari.

Certo, fare un’analisi del voto in queste circostanze appare davvero difficile, ma tuttavia alcuni dati sembrano incontrovertibili e lapalissiani: gli italiani, in una maggioranza che resta pur sempre relativa, mostrano di essere stufi degli eccessivi costi e dei meccanismi della politica, che si disperde in un numero spropositato di rappresentanti, divisi da senatori e parlamentari, almeno stando alle voci degli stessi rappresentanti del Movimento 5 stelle, che hanno proposto la consultazione popolare o populistica, a seconda delle prospettive sociologiche che si adottano, e quindi gli italiani dicono al taglio delle poltrone, esprimendo una ferma volontà di andare verso un cambiamento, anche a livello costituzionale, ma completamente alla cieca.

Al tempo stesso, però, gli italiani non premiano il lavoro politico del Movimento 5 Stelle, quello che ha ricevuto anche il plauso dall’OMS per la gestione della pandemia, quello che ha gestito una estenuante trattativa europea alla fine rivelatasi più che vantaggiosa per l’Italia, a livello di amministrazioni regionali e si affidano, invece, alla continuità, alla conservazione delle poltrone su scala locale, nonostante i conclamati disastri delle stesse amministrazioni in termini di gestione sanitaria, infrastrutture, ed altre questioni che sono di competenza strettamente regionale.

Ciò che emerge da questa tornata elettorale è una popolazione votante sostanzialmente conservatrice, soprattutto in quelle circostanze in cui vi è un apparato mediatico che, anche nelle occasioni più gravi e drammatiche, riesce a costruire una narrazione convincente e martellante puntando soprattutto su un’immagine forte del leader. Si tratta di una elaborazione sottile, ma potente, di un’icona personalistica, determinata e al tempo stesso rassicurante nella gestione del potere, che ha avuto esempi interessanti e meritevoli di approfondimento nell’apparato comunicativo di De Luca al limite della parodia, nella vittoria mediatica di Zaia nella diatriba contro il virologo Crisanti, nell’avocazione a sé di tutti i meriti della questione del ponte Morandi da parte di Toti, nonché nella confortante presa di posizione di Emiliano sulla Puglia aperta per le vacanze, che ha permesso di assicurare l’abbronzatura e le ferie a tutti gli italiani, e non solo, e anche un po’ di incassi per gli operatori turistici.

E, allora, ciò che bisognerebbe scoprire, analizzando, magari, anche in maniera molto puntuale i dati delle dichiarazioni di voto e delle singole sezioni elettorali, è la distribuzione per età, per appartenenza sociale, per genere e, addirittura, per residenza – è sintomatico il dato referendario in controtendenza nei quartieri centrali di Roma rispetto alla periferia -, di tutto questo elettorato, perché davanti ad una simile schizofrenia elettorale, che è anche decisionale, non può esservi che un totale depauperamento non solo ideologico, partitico, ma diremmo politico tout court. Siamo alle prese con sistemi di credenze e, quindi, di consenso elettorale che si costruiscono attraverso circuiti chiusi a livello mediatico, tramite i canali televisivi, e informatico, per mezzo dei social network, in grado di elaborare universi simbolici autoreferenziali dove non solo non contano i fatti e le delibere disastrose già intraprese, ma nemmeno il confronto pacato e sereno sulle posizioni politiche, giacché ciò che vale è solo l’invettiva, lo slogan martellante di chi, in fondo, detiene i mezzi di comunicazione o investe massicciamente nel marketing del sottobosco dei social.