Di Elena Dusi, da La Repubblica. Gli Stati Uniti hanno investito 10 miliardi di dollari in vaccini dalla primavera 2020. Oggi producono Pfizer, Moderna e hanno Novavax in arrivo. Con il 50% dei vaccinati si permettono di togliere le mascherine. L’Italia ieri ha bloccato 50 milioni di fondi all’azienda biotech ReiThera, che erano stati faticosamente promessi a febbraio 2021. Un parere della Corte dei Conti ha messo forse la parola fine al vaccino italiano, che senza aver mai ricevuto un fondo pubblico e avendo investito 12 milioni in proprio non potrà affrontare la fase tre delle sperimentazioni, quella finale, condizione necessaria per ricevere l’autorizzazione all’uso.
I 50 milioni facevano parte di un accordo stilato tra gennaio e febbraio fra la biotech di Castel Romano, il ministero per lo Sviluppo economico (Mise) e Invitalia, l’Agenzia per lo sviluppo d’impresa guidata dall’allora commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri. Era la parte erogata dallo stato (41,2 milioni a fondo perduto 7,8 di finanziamento agevolato) all’interno di un patto di cofinanziamento da 81 milioni. ReiThera ne avrebbe investiti 32. Non un euro è ancora stato erogato per il vaccino. Dal primo marzo la pratica era ferma alla Corte dei Conti, che ieri ha comunicato la bocciatura: la sezione centrale “ha deliberato di ricusare il visto sul decreto” relativo all’approvazione “dell’Accordo di sviluppo sottoscritto il 17 febbraio 2021 dal Ministero dello Sviluppo economico, da Invitalia spa e dalla Società ReiThera srl, volto a sostenere il programma di sviluppo industriale da realizzare presso lo stabilimento produttivo sito in Castel Romano”. Addio vaccino, dunque, con le 100 mila fiale pronte per la fase tre già in freezer nel centro di ricerca alle porte di Roma e la promessa di 100 milioni di dosi all’anno sembra destinata a non realizzarsi più. Il vento, per i vaccini a vettore virale come ReiThera, d’altra parte stava cambiando già da un po’. Alla categoria appartengono AstraZeneca e Johnson&Johnson, che hanno un’efficacia del 70% circa nel prevenire il contagio con sintomi. La protezione più bassa rispetto a Pfizer-BioNtech e Moderna (che usano la tecnologia dell’Rna e arrivano al 95%) e i rari casi di trombosi in un vaccinato ogni 100-200mila avevano spinto la Commissione Europea a trascurare i vaccini a vettore virale, per le forniture del futuro. Per ReiThera, che il 5 gennaio ha pubblicato i dati della fase uno su 100 volontari e sta completando la raccolta di quelli della fase due, appena conclusa su 900 volontari, il futuro non sarebbe in ogni caso stato facile. Le sue fiale sarebbero arrivate in autunno, a campagna vaccinale quasi conclusa. Per questo la biotech di Castel Romano si era offerta di partecipare a una delle fasi di produzione di un vaccino diverso, a base di Rna. La sua officina farmaceutica dispone di un bioreattore da 3mila litri: bene raro e difficilmente reperibile sul mercato oggi. Ma anche quella offerta di disponibilità è rimasta senza risposta. E l’Italia, anche per la produzione di un vaccino altrui, non ha individuato neanche uno stabilimento adatto. Né è chiaro come mai la bocciatura di un prodotto medico sia stata affidata alla magistratura contabile. Un accordo di sviluppo gemello, concluso con Toscana Life Sciences per lo sviluppo di anticorpi monoclonali, non ha finora incontrato alcuna opposizione. L’unica speranza resta un possibile ripensamento del Mise, che lascia aperto uno spiraglio: «La produzione del vaccino va avanti. Attendiamo le motivazioni della Corte dei Conti».