‘Relazioni affettive in carcere’: basta palliativi al disagio

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Desta scalpore la particolare attenzione confluita nello stanziamento di 28 milioni di euro per finanziare la realizzazione di ‘moduli abitativi’ all’interno dei quali i detenuti in regime di carcere duro, che non possono godere di permessi premio, possano trascorrere ‘relazioni affettive’ in libertà.

La funzione rieducativa e riabilitativa della pena e la necessità di garantire dignità di vita anche in regime di detenzione impongono di assicurare continuità alle relazioni affettive, per contenere il senso di abbandono e solitudine che l’isolamento forzato porta inevitabilmente con sé. Puntare al recupero affettivo, anche di tipo sessuale, vuol dire anche consentire di non perdere l’abitudine alla condivisione.
Tra le utilità sperate con il nuovo provvedimento anche quella di evitare che l’astinenza da relazioni fisiche continui a portare a fenomeni di abusi e violenze.

Per altro verso, considerata l’attuale condizione carceraria e il livello di illegalità che paradossalmente caratterizza anche i rapporti interni al carcere, non sembrano del tutto infondati i timori di strumentalizzazione e uso distorto della misura.

È provato che l’astinenza sessuale prolungata possa generare malessere e malcontento, ma la realizzazione di ‘strutture di conforto’ non può essere confuso con una progettazione risolutiva ed esaustiva del cronico disagio a tutti noto.
Interventi frammentari e non coordinati non bastano ad attenuare le criticità del mondo penitenziario, nel quale carenza di personale, sovraffollamento, vetustà delle strutture e gestione delle emergenze degenerano spesso nei drammatici fatti che imbrattano la cronaca quotidiana e indignano l’opinione pubblica.

Meritocrazia Italia insiste sulla necessità di intervenire prontamente con riforme di struttura, e torna sulla necessità di:
– indirizzare la riforma dell’ordinamento penitenziario calibrandola sul proposito di recupero del detenuto, nel rispetto dell’art. 27 cost. e della Convenzione EDU, riaffidando centralità alla persona, da rieducare alla legalità e da affiancare adeguatamente nel reinserimento sociale al termine del percorso detentivo;
– investire da subito nell’edilizia carceraria, ristrutturando gli edifici esistenti, riconvertendo in istituti di pena edifici dismessi già adibiti ad altre funzioni, realizzando nuovi immobili e allestendo al loro interno spazi di convivialità e socialità;
– incrementare il personale, militare e civile, operante all’interno delle strutture vigilando su una adeguata e continua formazione che tenga conto delle diversità etniche, culturali, sociali e psicofisiche di ogni detenuto senza alcuna esclusione;
– garantire supporto psicologico individuale e di gruppo a tutti i detenuti affinché, oltre a curare il singolo, sia instaurato un più adeguato e rispettoso rapporto di convivenza e condivisione degli spazi;
– potenziare progetti educativi, sociali e lavorativi che riducano i rischi della devianza e contribuiscono ad agevolare e facilitare il rientro in società.

Stop war.

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Fonte: ‘Relazioni affettive in carcere’: basta palliativi al disagio

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