Le istituzioni europee hanno deciso di sostenere le persone e le realtà che si impegnano perché la religione diventi strumento e contributo per una migliore coesione sociale. Lo ha annunciato a settembre l’Alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, lanciando (nel corso di una conferenza a Bruxelles con rappresentanti di oltre 150 realtà religiose, sociali e istituzionali) lo “scambio globale di religione nella società” (Global Exchange on Religion in Society), “una sorta di Erasmus per attori e attivisti della società civile che lavorano sulla fede e l’inclusione sociale”.
Il dato di partenza è che la religione gioca un ruolo essenziale in quasi tutte le società nel mondo: è il Pew Reserach Center ad aver verificato che circa l’84% della popolazione mondiale dichiara di professare – a vario titolo – una fede. E il secondo dato è che la religione è coinvolta, nel bene e nel male, nella definizione dei grandi temi e dissidi dell’attualità: dalla pace al terrorismo, dall’integrazione alla salvaguardia del creato, dalla giustizia alla libertà.
È da tempo che le Chiese e le comunità di fede cercano di dimostrare quanto significative siano anche sul piano sociale le ricadute del loro impegno. Dopo anni in cui si è tentato di renderle marginali e silenziose in nome di una mal compresa “laicità”, ora molti segnali indicano una inversione di tendenza e il progetto che arriva da Bruxelles ne è un chiaro esempio. Occorre fra l’altro ricordare che in base all’articolo 17 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, viene promosso un dialogo “aperto, trasparente e regolare” tra le istituzioni dell’Unione e le chiese presenti in Europa.
Questo Global Exchange, fortemente voluto dall’Alto rappresentante, punta a sostenere quella “maggioranza silenziosa” che “in tutto il mondo lavora quotidianamente per migliorare le cose”. Il progetto – che dovrebbe essere operativo dalla prima metà del 2020 – mette a disposizione dei fondi dal bilancio Ue per la creazione di spazi e momenti in cui persone, realtà, esperienze che si impegnano per l’inclusione si possano incontrare, confrontare, sostenere, consigliare e così accrescere la loro capacità di generare cambiamento (il famoso e intraducibile “empowerment”) nelle cose che fanno. Il progetto prevede anche che durante questi momenti di scambio gli attivisti possano usufruire di occasioni di formazione con dei workshop per migliorare, ad esempio, la loro visibilità o la loro capacità di comunicazione.
C’è stata un’esperienza pilota tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 che è servita a definire e testare il progetto attraverso due incontri, in Libano e nel Regno Unito, coordinati da un ente terzo, la Fondazione inglese Lokahi: il focus è stato sul dialogo cristiano-islamico, guardando all’identità dell’islam europeo e ragionando sui tratti comuni delle diverse esperienze.
Nel frattempo si è chiusa a fine settembre la fase in cui persone, enti, associazioni hanno potuto manifestare e documentare il proprio interesse e rilevanza per poter essere scelti come “partner” dell’Ue per organizzare e implementare questi scambi, attesi nel corso dei prossimi mesi. “Vogliamo riconoscere il ruolo positivo che la religione sta già svolgendo in alcune parti del mondo, nelle nostre società. Vogliamo riconoscere le soluzioni che vengono dalla base e dal cuore delle nostre comunità”, diceva ancora Mogherini annunciando questa iniziativa. L’Ue sceglie di “concentrarsi sui costruttori di pace, sugli edificatori di ponti” perché “guardare al positivo che già esiste a volte è un modo per prevenire o affrontare le tendenze negative che emergono o si consolidano nel mondo”.
Sarah Numico