Reporters sans frontières ancora una volta si dimostra un’inutile classifica del primato economico occidentale, una voce tra le voci che compongono la gabbia d’acciaio che il denaro costruisce attorno alle nostre teste. Ancora una volta spaccia per libertà di stampa la libertà dei giornalisti, e di chiunque faccia informazione, di vendere il proprio lavoro al migliore offerente. La stampa, l’informazione tutta, è una funzione sociale di altissimo rango, poiché da essa dipende l’assetto sociale, l’opinione che costruisce la democrazia di cui noi siamo tanto fieri e da cui dipende la divisione della ricchezza e del lavoro.Nel film Sud di Gabriele Salvatores, il politico di turno ammonisce l’ufficiale dei carabinieri dicendo: “Noi, la gente non la controlliamo più con la polizia, ma con le televisioni“. Insomma, ormai è scienza comune, almeno dal tempo di altre opere filmiche, come “Quarto Potere” di Orson Welles (1941). Eppure, c’è ancora chi fa la conta delle minacce che arrivano ai giornalisti per giudicare la libertà di stampa, il grado d’informazione di un popolo sulla sua condizione economica e sociale e sull’operato della sua classe dirigente. L’oppressione dello Stato sulla libertà d’espressione, del Capitale sull’informazione, delle intimidazioni mafiose contro l’integrità fisica di un free lance, non possono essere confuse con la denuncia pubblica di un’informazione serva di un potere politico-economico. Reporters sans frontières non può continuare ad incolpare il M5S di essere una delle cause della posizione di svantaggio dell’Italia nella sua personale graduatoria delle libertà. L’edificazione dell’opinione pubblica non può essere solo compromessa dalla grossolana minaccia di un boss mafioso, ma anche e soprattutto dal conflitto di un editore con numerosi altri interessi. E l’Italia ha un’editoria piena zeppa di altri interessi, come anche la politica. Ecco come da tempo accade, che la deformazione imposta da fonti numerose ed egemoni, possa riabilitare di fatto alla politica un pluricondannato, senza che nessun giornalista (o troppo pochi) lo incalzi mai con domande reali e cogenti; ecco come nessun redattore (o troppo pochi) si carichi mai dell’impegno elementare a svergognare le fandonie dei facciatosta di regime. Dovrebbe essere questo a spingerci lontani dal conseguimento della libertà, ma questo, è tutto un altro mondo, tutta un’altra classifica.
Giuseppe Di Maio