«Resteremo amici per sempre»

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Caro don Gianantonio, Mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su di te. Ma vedo che non ci riesco. Preferisco scrivere a te, che continui ben vivo in me, nella memoria e nel cuore. È già trascorso un anno da quando ti sei trasferito “ai piani alti”, ma ancora non mi abituo all’idea. Nella galleria del telefono ho una cartella con una serie di tue foto. Le faccio scorre, mentre cerco di mettere ordine i pensieri. Ce n’è una che ti ho scattato io sulla collina di Baba Simon a Tokombéré, in Camerun. Ricordo quel giorno. Eri venuto a trovarmi nella missione fondata a Lulù. Eri rimasto un tempo breve, ma prezioso, per me. Credo che, anche se ci conoscevamo già da diversi anni, quella sia stata l’esperienza che ha segnato per sempre la nostra amicizia. Da lì in poi, tutto è stato differente: ad un altro livello.

Mi raccontavi dei tuoi 10 anni a Durum (in quella stessa regione del Camerun), della tua passione per la radio CB, che ti permetteva di tenere i contatti con gli altri missionari. Mi parlavi di questo Servo di Dio, Baba Simon, che io ancora conoscevo poco, ma che per te era una figura di riferimento. E così, un giorno eravamo andati insieme sulla collina dove lui si era costruito una capanna e dove amava passare dei giorni di ritiro. Che bella quella giornata, Gian. La passione per la radio CB non sei mica riuscito a trasmettermela, ma l’affetto per Baba Simon, quello sì, eccome!

Ecco un’altra foto: qua sei con il biblista Alberto Maggi. La guardo e ripenso alla tua infinita sete di relazioni. È una tua caratteristica che mi ha sempre colpito.Mi chiedevo come tu facessi a conoscere così tante persone, appartenenti a mondi così diversi e, sopratutto, a mantenere i legami nel tempo. Un giorno te l’ho anche chiesto e tu mi hai fatto uno di quei tuoi caratteristici sorrisi… Probabilmente è che non c’era un “come”. Tu eri semplicemente uno che viveva nelle sue relazioni (e di esse). Ciascuna, per la sua unicità, ricopriva uno spazio importante tra i tuoi affetti. Eri così: rapporti molto significativi e, singolarmente, unici.

Chi ti ha avuto per amico, sono sicuro che ti ricorda come una persona importante. Ci sono persone che entrano nella nostra vita, anche per un buon tratto, ma che poi lasciano un segno debole. Altre che, invece, si fissano come una cicatrice. Tu appartenevi decisamente a questo secondo gruppo. Sai quando si dice: “Com’è piccolo il mondo!”? Non puoi neanche immaginare quante volte, nei luoghi e nelle circostanze più disparati, mi è capitato di entrare in contatto con persone che ti hanno conosciuto. E tutte hanno da raccontare almeno un episodio in cui tu le hai colpite. Tra tutte, penso a suor Regina, delle Suore della Divina Volontà, da trent’anni in Camerun. Che affetto e che stima trasudava dalle sue parole quando parlavamo di te.

Durante il rapimento tuo, di don Giampaolo e di suor Gilberte – che per 57 giorni ci ha fatto tutti tremare – le occasioni di parlare di voi con suor Regina sono state tante. Vi pensavamo e ci aggrappavamo ai pensieri più positivi, a quello che rappresentavate per noi. Quei duemesi,perme,prete,sonostatil’occasione per scoprire cosa significa la fraternità nel presbiterato. Perché tu e Giampaolo siete diventati miei fratelli nel senso più pieno del termine. Così, una volta liberati e ritornati a noi, ti ho riabbracciato con nel cuore qualcosa di completamente nuovo, fratello Gian.

Ah ecco una bella foto: stai predicando nel giorno del rinnovo dei voti di sorella Alessandra, a Mossano. So che il tratto di strada per il quale l’hai accompagnata non è dei più lunghi. Ma, da quanto mi dice l’interessata, senz’altro di grande intensità.Mi chiedo se questa capacità di ascolto, di accoglienza, di far entrare la vita degli altri nella tua vita ti fossero innate o se, almeno in parte, ti venissero dalla spiritualità di Charles De Foucauld che per tanti anni ha modellato la tua spiritualità.

L’eremita del deserto algerino, desideroso di farsi fratello universale, ti aveva trasmesso il gusto per i “dialoghi nello Spirito”. Parlavi sempre volentieri delle tue “scoperte” di fede, di quelle “intuizioni”, come spesso le chiamavi, che al raccontarle, ti facevano brillare gli occhi. Peccato non avere una foto di quei momenti! Ma forse è giusto così: certe cose le custodisce bene solo il cuore.

In questa foto sei reduce da un ciclo di chemio che ti hanno sfigurato. Fai impressione, Gian. Vorrei buttarla via quest’immagine. Ma, ogni volta che sto per farlo, qualcosa mi trattiene. Devo conservarla, con tutte le altre. Perché lamalattia, quella terribile compagnia che ti ha abitato durante gli ultimi 10 mesi, è anch’essa parte di te, della tua storia. Non sarebbe onesto negarla.

In quel periodo in cui, poco a poco, ci venivi rapito “per la seconda e definitiva volta”, mi hai mostrato tutto il tuo attaccamento alla vita,. Sei l’amico che mi ha fatto sentire tutto il peso della distanza. È vero che WhatsApp permette miracoli di comunicazione, ma quado un amico sta male, non c’è WhatsApp che tenga: si vuole solo esserci, stringere la mano, comunicare le cose importanti… E invece tutto questo non è stato possibile. Mi è mancato l’ultimo abbraccio, Gian.

L’ultima foto è quella dell’immaginetta- ricordo distribuita al funerale: sembra una foto-tessera della carta d’identità. Non è la mia preferita, di sicuro. Ma le tue parole, scritte sul retro, sono bellissime: “Nel momento della morte avvenuta, in cui tutto sembra finito, è in quel momento che la luce della risurrezione diventa realtà. «Tutto è possibile a chi crede». Allora, Signore, se tutto è possibile…è possibile tutto.”

Compreso che restiamo amici per sempre. Ciao, Gianantonio.