La retorica di una presunta riforma della scuola tra meritocrazia e scarsi investimenti

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Riforma della scuola di Patrizio Bianchi
Riforma della scuola di Patrizio Bianchi

Come previsto dall’ultimo Documento di Economia e Finanza dell’aprile scorso, la quota di PIL da destinare all’istruzione passerà, entro il 2025, dal 4% al 3,5%, ben sette miliardi in meno in tre anni. Questo semplice dato dovrebbe, quantomeno, rendere evidente che nonostante la retorica di una presunta riforma della scuola, la quale dovrebbe cominciare dalla formazione, dall’aggiornamento e dalla meritocrazia dei docenti, in Italia l’istruzione è scavalcata, nelle priorità degli investimenti, da altre esigenze, tra cui vi è la corsa al riarmo e l’invio di materiale bellico alla resistenza ucraina.

In relazione alla riforma della scuola, approvata definitivamente dal Parlamento con il Decreto n. 36, il ministro Patrizio Bianchi ha affermato che proprio sulla formazione dei docenti della scuola pubblica italiana si gioca la possibilità di dare risposte all’Europa, «che ci poneva la questione del merito». È esattamente la problematica della meritocrazia che andrebbe affrontata, dunque, proprio perchè trascurata da chi ha gestito per anni l’Italia con sistema clientelare.

Si tratta di una questione così importante, in realtà, che non dovrebbe attendere un interlocutore aleatorio per essere posta ed affrontata, perché, difatti, la necessità di stabilire legittimamente che i più meritevoli, i migliori, debbano occupare i posti idonei a sfruttarne le capacità può esser fatta risalire alle riflessioni di Platone nella Repubblica.

È chiaro che nella mentalità comune, pervasa dall’ideologia neoliberista dell’individualismo spinto e dalla competizione sfrenata, si è fatta largo un’idea ormai condivisa: gli individui non sono tutti uguali. Il mito dell’uguaglianza (di opportunità, di diritti, di genere, etc.) fa ormai bella mostra di sé quasi unicamente negli astratti discorsi di qualche nostalgico paladino di forme incartapecorite di socialismo utopico, o di chi, in modo ritenuto perlopiù infantile, si richiama ai contenuti delle principali Carte internazionali e nazionali, che, tuttavia, rimangono lettera morta, soprattutto quando si scontrano con una ideologia potente, quella intessuta attorno al concetto di merito.

Tutti siamo disposti a richiamarci alle pari opportunità, alla necessità di ridurre al minimo le differenti basi di partenza che a livello sociale ed economico possano impedire agli individui di sviluppare i propri talenti, ma poi usiamo questo livellamento (raggiunto, ribadiamo, solo a livello astratto) per giustificare la possibilità di creare nuove disuguaglianze, l’opportunità, cioè, di diventare effettivamente diseguali[1].

È chiaro che l’esistenza di una qualche forma di disuguaglianza, a partire dal trattamento economico da riservare a chi compie le medesime mansioni, ma con peggiori o diversi risultati, ad esempio, dovrebbe far suonare un campanello d’allarme e pretendere una giustificazione. Ma il campanello non suona e la voce della nostra ipotetica coscienza interiore ci rammenta che in effetti è giusto: a chi merita deve essere riservato un trattamento migliore!

Eppure, c’è una questione che non torna per quanto riguarda il riconoscimento e la valutazione del merito di una categoria speciale di lavoratori dello Stato, cioè i docenti e gli insegnanti, giacché si dovrebbero chiarire, a monte, una serie di questioni cruciali che ci lasciano molto perplessi, come ad esempio: come si riconosce un docente più bravo di un altro e meritevole di un gettone in busta paga? Su quali basi, si presume oggettive, si può misurare lo scarto tra un docente più bravo e un docente meno bravo? Posto che il compito del docente sia educare, insegnare, trasmettere conoscenze agli alunni e alle alunne, chi è preposto alla valutazione del loro merito, cioè della loro capacità di finalizzare correttamente e concretamente la loro professionalità direttamente nelle classi? Può essere il risultato finale riportato in pagella in termini numerici dagli studenti e dalle studentesse il criterio di discernimento tra chi ha svolto correttamente il proprio lavoro e chi non lo ha svolto affatto, avallando politiche progressiste[2]?

Insomma, a noi pare che davanti a tutti questi interrogativi paradossali, ovviamente lasciati senza una soluzione dalla riforma della scuola prevista dal ministro Bianchi, si stia consumando un enorme fraintendimento del significato del merito, in cui si insinua surrettiziamente un pregiudizio pedagogico devastante per il mondo della scuola. Alla fine dei conti, nello schema che sembra emergere dal DL n. 36, che ha istituito la Scuola di Alta Formazione per i docenti, con ulteriore spesa a carico della cosa pubblica, risulta più bravo/a non chi si mostra più adeguato/a, a valle, nel ruolo di docente, chi si rivela didatticamente efficace nelle classi, promuovendo i valori fondamentali dell’educazione affiancati alle conoscenze disciplinari, ma chi aderisce e si conforma, a monte, a più progetti erogati e imposti dalla suddetta Scuola, secondo uno schema che a noi sembra ricalcare quello degli Apparati Ideologici di Stato, più volte richiamati, senza la possibilità di accedere liberamente a corsi in base alle proprie esigenze. Si tratta di una formazione ed un aggiornamento coatto in discipline che non nella scuola, ma altrove si sono ritenute necessarie a garantire, sia nella logica stringente sia nel lessico che ne regge l’impianto ideologico, la competitività nel mondo del lavoro.

In più, con un gioco di parole che lascia allibiti, leggiamo dal Decreto che la «formazione in servizio» dovrà essere svolta «fuori dall’orario di servizio». È evidente che il ministero prova ancora una volta ad avere tutto, cioè docenti formati, ispirati, motivati, offrendo ben poco, cioè gli stipendi, che, pur con un’inflazione galoppante, sono fermi da dieci anni. Tutto ciò accade mentre per curare la crescita della professionalità, i docenti vengono umiliati da una continua escalation dei carichi di lavoro burocratici da espletare. A noi questa, più che una riforma della scuola, sembra l’ennesima caricatura di un’estate torrida a cui non seguirà, come negli ultimi anni, alcun autunno caldo, purtroppo!

[1] P. Barrotta, I demeriti del merito, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1999, p. 21.

[2] P. Mastrocola, L. Ricolfi, Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, La Nave di Teseo, Milano 2021.

Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.


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a cura di Michele Lucivero

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