Frasi revisioniste sulla Battaglia di Nikolajewka da parte di Elena Donazzan e scoppia la polemica con aspre reazioni e richieste di dimissioni.
Sem,pre più nella Bufera l’assessore all’Istruzione della Regione del Veneto dopo aver inviato ai dirigenti delle scuole venete una circolare sul particolare evento storico della seconda Guerra mondiale, esaltando l’operato degli alpini che – come è storicamente noto – presero parte al conflitto al fianco degli eserciti invasori e di occupazione dell’Asse e contro le truppe sovietiche. Il tutto nei giorni in cui si celebrava Il Giorno della Memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto.
Della vicenda si sono occupati i media nazionali (leggi qui), commentando in particolare l’iniziativa quantomeno sui generis della esponente di Fratelli d’Italia, tra l’altro non nuova ad atteggiamenti rievocativi del Ventennio fascista.
Insomma, un “caso” che non ha mancato di suscitare reazioni nello scenario politico del Veneto, a partire da quello della capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Luana Zanella.
“L’assessora regionale all’Istruzione Donazzan si dimetta per manifesta incompatibilità ha detto -. Infatti in una circolare che ricorda la battaglia di Nikolajewka (inverno 1943) usa l’avverbio ‘purtroppo’, dimenticando che l’esercito italiano era l’aggressore. Il giorno dopo quell’atto, non sappiamo se provocatorio o frutto di poca dimestichezza con la nostra storia, parlando della Giornata della Memoria non cita mai il nazismo e il regime fascista. Cosa altro dovrà dire per rendere evidente che non può ricoprire il ruolo di rappresentante della Cultura in Veneto”?
Una replica arriva anche dalla provincia di Vicenza, a firma di un gruppo di docenti, dell’ANPI e di altre associazioni.
“Ci risiamo. Non le è bastato avere irriso le vittime del colonialismo fascista intonando Faccetta nera a favore di telecamera. Né aver negato ripetutamente la sostanza antifascista della Costituzione che regge la Repubblica. Elena Donazzan, assessora veneta alla formazione, lavoro e pari opportunità, insiste nella campagna di rovesciamento ideologico dei fatti storici del fascismo e della guerra. Il suo interessato revisionismo stavolta si esercita sulla tragica giornata di Nikolaewka, dove, il 26 gennaio 1943, le truppe italiane, riuscirono a rompere l’assedio per aprirsi un varco da cui iniziò spaventosa, indicibile odissea della ritirata. Ma qual è l’origine di quella dolorosa odissea, così ben raccontata da Giulio Bedeschi, da Mario Rigoni Stern, da Nuto Revelli?
Non fu affatto, come afferma Donazzan, confondendo una guerra sanguinosa con una competizione sportiva, una ‘impresa che è valsa al corpo degli alpini la definizione di unico corpo militare imbattuto in terra di Russia’, ma l’adesione convinta (pur nella consapevolezza della impreparazione per mezzi ed equipaggiamento dell’esercito italiano) da parte di Mussolini e del fascismo, con l’appoggio vergognoso di monarchia e vertici militari, alla guerra di aggressione che Hitler aveva pianificato contro l’Urss dal dicembre 1940. Si trattò, come tutti sanno, di una guerra combattuta con un sistematico terrore verso la popolazione civile, e dentro la quale trovò la sua definitiva realizzazione il progetto di soluzione finale della questione ebraica, ovvero, secondo la macabra neolingua nazifascista, lo sterminio degli ebrei.
Esaltare quella campagna significa, proprio nei giorni in cui tutto il mondo ricorda l’abominio della Shoah, denigrare la stessa memoria degli Alpini, i quali ebbero modo di apprendere, col sangue e col dolore, che cosa significava quella guerra fascista: aggressione, impreparazione militare, soggezione all’alleato tedesco (quei nobili alleati che durante la ritirata, come riportano tante testimonianze, si rifiutavano di far salire sui loro mezzi i soldati italiani).
Capirono bene che inganno si nascondeva dietro la parola patria: e molti di quelli che ebbero la ventura di sopravvivere, furono da quel momento convinti e implacabili antifascisti, tanto come comandanti partigiani (il citato Nuto Revelli) quanto come internati nei Lager tedeschi come il nostro Mario Rigoni Stern, che rifiutò come decine di migliaia di altri di arruolarsi per la Repubblica Sociale Italiana, impegnata a collaborare coi padroni nazisti nella deportazione e degli eccidi non solo dei combattenti antifascisti, ma anche delle donne e dei bambini che tra il settembre del ‘43 e l’aprile del ‘45 compirono il viaggio per Auschwitz o per la Risiera di San Sabba. Rigoni Stern aveva capito molto bene, sulla sua pelle, che cos’è la vera patria: la terra dei diritti, delle libertà, dell’uguaglianza; quella che l’aveva mandato alla campagna di Russia era la patria delle leggi razziali e della soppressione delle libertà. Una delle sezioni vicentine dell’Associazione Alpini è giustamente intitolata a Toni Giuriolo, che per le sue idee antifasciste fu privato della possibilità di insegnare e che quando venne l’ora scelse con coraggio la lotta contro gli invasori nazisti e i loro alleati fascisti, pagò con la vita: un esempio di limpida coerenza, un onore dell’Italia libera e civile. Un vero alpino, la cui memoria non può soffrire appropriazioni indebite da parte di nessuno, e tanto meno di chi dovrebbe rappresentare le istituzioni dell’Italia democratica”.