Ricomincia la scuola: quel che serve e quel che non serve per ben iniziare

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Ricomincia la scuola...
Ricomincia la scuola...

Da lunedì ricomincia la scuola e più di sette milioni di studentesse e di studenti di tutta Italia ritorneranno tra i banchi, fatta eccezione per i trentini e gli alto atesini, che sono già rientrati, e i siciliani, che torneranno il 19 settembre.

Abbiamo motivo di pensare che l’inizio di questo nuovo anno scolastico sia caratterizzato dal fatto di suscitare molta emozione per le ragazze e i ragazzi, ma anche per gli insegnanti, giacché si preannuncia in grande stile, come non si vedeva da due anni a questa parte. Dopo tanti sacrifici, infatti, non serviranno più le mascherine – finalmente ritornano i volti – e, aspetto ancora più interessante per le dinamiche sociali delle classi, si potrà ritornare a coltivare l’amicizia e la prossimità con il compagno/la compagna di banco.

L’emozione mista a curiosità e trepidazione tocca anche gli insegnanti, i quali sanno bene che il rapporto con i singoli allievi e con l’intera classe per un intero anno scolastico o, magari, anche di più anni, devono giocarselo in gran parte durante il primo incontro: gli sguardi si incrociano, le aspettative salgono, si rompe il ghiaccio con qualche battutina e poi si cerca di dire qualcosa di profondo, ma soprattutto di beneaugurante per il percorso che si deve affrontare e che sia quanto più piacevole possibile per tutte e tutti.

Nel libro Solo se interrogato. Appunti sulla maleducazione di un insegnante volenteroso Domenico Starnone, utilizzando la forma del diario scritto da un insegnante volenteroso ma disincantato dalle resistenze di studenti sempre più svogliati, mette a fuoco un tema ancora cruciale per molte ragazze e molti ragazzi, quello del rapporto con i loro docenti: «gli insegnanti che ci hanno positivamente impressionati – scrive – si sono fissati nella [nostra] memoria solo quando hanno lacerato per un attimo, per un’ora, la loro funzione e le regole vigenti». E aggiunge: «La scuola, a ben pensarci, anche nella memoria è solo un monumento agli atti dovuti»[1].

Il professore protagonista del testo ricorda, infatti, che pure lui, da studente, aveva vissuto la scuola annullandosi, parlando solo se interrogato, il che ovviamente non significa mostrarsi per ciò che si è veramente, non significa mettersi in gioco, non significa parlare davvero, sostenendo le proprie ragioni, ma vuol dire invece, semplicemente, adempiere ad un atto dovuto, da assolvere tra presenze e voti da segnare immediatamente sul registro, tracce che siano visibili ai genitori, sempre più controllori e sempre meno educatori.

Ma pure noi docenti, in questo ammonire di parlare solo se interrogati spesso non lasciamo traccia alcuna dell’agonismo dialettico che dovremmo, invece, coltivare nelle nostre studentesse e nei nostri studenti per farli sentire veramente protagonisti dei loro percorsi di vita. Solo mediante la parola liberata si svela la politicità di ogni pratica di insegnamento/apprendimento, volta, attraverso l’argomentare, il giustificare, il negare e il comparare a fare espandere nei ragazzi e nelle ragazze coscienza ed eloquenza[2] e a fornirgli gli strumenti per praticare la parresia: la traduzione letterale, il parlar chiaro diremmo in italiano. Questo appello a lasciar parlare liberamente e chiaramente le allieve e gli allievi esprime solo in parte la radicalità cui va incontro il parresiastes, ossia colui/colei che usa la parresia[3], legata al coraggio di fronte al pericolo delle proprie parole.

E, così, nell’accingerci a dare con grande entusiasmo e con le migliori intenzioni il benvenuto ad un nuovo anno scolastico, ci piacerebbe ricondurre al silenzio ogni polemica su cosa la scuola dovrebbe essere, su cosa nel frattempo è diventata e a cosa (o meglio chi) dovrebbe servire, concentrandoci sul ruolo di chi, poi, la scuola la vive con estremo piacere e con profondo senso del dovere.

Vorremmo, quindi, ricordare a tutte le studentesse e a tutti gli studenti, adesso che ricomincia la scuola, che non occorre aspettare l’ingresso all’università, come avviene per il protagonista del libro di Starnone, per riconoscere che il verbo studiare può essere sottratto alla scuola e diventare una scelta, anche piacevole.

Mentre vorremmo ricordare a tutte le docenti e gli insegnanti, e a noi che scriviamo in primo luogo, che in fin dei conti ogni educatore ha un compito semplice, che può essere spiegato prendendo a prestito le parole che Vittorio Foa usava per descrivere la missione di molti intellettuali antifascisti, quando si aveva l’impressione di essere una goccia d’acqua in un lago.

«Facevamo leggere e facevamo scrivere la gente, chiedevamo di estrarre dal proprio lavoro e dall’esperienza della loro vita il bisogno di libertà, il bisogno di giustizia, la fiducia nella possibilità di cambiare le cose. Visto da lontano negli anni quel nostro lavoro era un’opera di educazione: non dicevamo alla gente quello che doveva pensare, le chiedevamo di pensare essa stessa (…). Forse la politica come educazione è più pericolosa della politica come propaganda. Forse è anche per questo che nessuno di noi si è rammaricato per l’alto prezzo pagato per un’attività apparentemente così modesta»[4].

Chi, come noi, pratica la filosofia e cerca di sopravvivere a quella solitudine dettata dal fatto di pensare sempre in maniera critica e laterale, sempre in minoranza, sempre in una sorta di inquietudine esistenziale per il fatto di essere stati gettati alla vita senza averlo scelto, cerca di rimediare con dei rapporti umani autentici, perché solo la vicinanza, l’ascolto e la comprensione dell’altro possono permettere di riempire il vuoto che, come essere umani, prima che come docenti, sperimentiamo nella nostra esistenza, ma soprattutto il vuoto che lasceremo “dopo di noi”.

Buon anno scolastico!

[1] D. Starnone, Solo se interrogato. Appunti sulla maleducazione di un insegnante volenteroso, Feltrinelli, Milano 2002, p. 27.

[2] AA. VV., La fine degli intellettuali. Conversazioni con Gilles Deleuze, Edizioni Medusa, Milano 2017, p. 27.

[3] Cfr. M. Foucault, Discorso e Verità nella Grecia antica, Donzelli Editore, Roma 2019, pp. 4-5.

[4] V. Foa, Il Cavallo e la Torre. Riflessioni su una vita. Einaudi, Torino 1991, p. 41, in Carlo Greppi. L’antifascismo non serve più a niente, Editori Laterza, Bari Roma 2020, p. 35.

Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.


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a cura di Michele Lucivero

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