Nel succedersi continuo di fatti inattesi, di nuove crisi e nuovi conflitti, crescono le preoccupazioni e ci si convince che questo sia il periodo più difficile da sempre. La cronaca quotidiana porta stupore e sbalordisce l’imprevedibilità di eventi improvvisi, e devastanti. Emergenza sanitaria. Guerre vicine. Disastri ambientali.
L’ansia e il disagio allontanano dalla lucidità d’analisi.
A ben vedere, però, le medesime dinamiche hanno caratterizzato anche altre epoche storiche.
Nel 1958, al fine di definire la questione algerina, che portava con sé caos e guerra civile, la guida della Francia fu affidata a Charles de Gaulle, primo Presidente della quinta Repubblica francese. Con gli accordi di Evian del 1962, con i quali si riconobbero piena sovranità e diritto all’autodeterminazione all’Algeria, si chiuse un capitolo drammatico. Jacques Chirac volle giocare d’anticipo e, contro una parte del suo stesso gruppo di appartenenza, chiese un’ulteriore modifica sostanziale della Costituzione, per l’elezione a suffragio universale del Presidente della Repubblica. Chiamò i francesi a esprimersi con referendum, ma de Gaulle raddoppiò la posta, sciole l’assemblea e vinse il referendum e le successive elezioni politiche.
È ricordato come un capolavoro di strategia.
De Gaulle sarebbe rimasto al potere fino alla soluzione d’ogni problema. Diversamente, sarebbe stato lui stesso il problema di una élite che non vuole cambiare, ma solo comandare.
In quegli anni de Gaulle cercò di rompere i legami tra Popolo e partiti, fidandosi pochissimo di tutti, e tentando di sciogliere i nodi una volta per tutte. La leadership era del Presidente, ed era la chiave di volta dell’intero sistema.
Le abilità del generale de Gaulle sono ancora oggi universalmente riconosciute, ma forse in patria il suo valore non fu colto come avrebbe meritato. Desiderava una Francia diversa, e, per farlo, scelse di mettere ai margini l’intervento del Parlamento e di sostituire quell’élite che aveva fallito creando una Scuola politica, l’École Nationale d’Administration, che fosse in grado di creare i presupposti per un governo stabile e nuovamente centrale nella tenuta degli equilibri internazionali.
Tutto ciò accadeva in un periodo di disordine, alimentato anche dagli interessi legali ai rapporti con l’Algeria e i Paesi nord africani. Tutto ruotava attorno al petrolio, alla produzione di armi, al nucleare, alla grandezza del potere nazionale.
Davvero molto simile a quello che si potrebbe raccontare di oggi.
L’incapacità di analizzare gli accadimenti del passato e il dilagante senso di impotenza da parte dei singoli fanno sì che su questo nessuno rifletta.
Probabilmente quello che è accaduto durante la pandemia ha contribuito ad accrescere le fragilità, ha aumentato la litigiosità e la sfiducia, verso tutto e tutti, politica compresa. A chi vive la politica come continua campagna elettorale questo non importa; anzi, il forte astensionismo può addirittura ritornare utile.
Invece bisogna riuscire a comprendere le ragioni alla base dei corsi e ricorsi storici. Ogni situazione di splendore è rivolta verso un finale declino. In ogni ambito.
Sono in tanti a chiedere quando Meritocrazia Italia sceglierà di partecipare a una campagna elettorale. Ma è ingenuo credere che sia l’unico modo per promuovere il cambiamento.
La Rivoluzione non passa per una candidatura.
La Rivoluzione si fa soprattutto creando un’alternativa di pensiero, conquistando consapevolezza, sottraendosi alla deriva culturale, lottando contro le divisioni, e sostituendo alla vacuità delle parole la forza eversiva dell’azione.
Riflessione, analisi, azione.