Dopo una sofferta gestazione, anche il Senato ha approvato la cosiddetta Riforma Cartabia, sull’Ordinamento Giudiziario e sul Consiglio Superiore della Magistratura. Lo sforzo del legislatore era, soprattutto, quello di depotenziare il correntismo all’interno dell’ANM, per porre un argine alle gravi degenerazioni verificatesi nelle nomine dei magistrati destinati a coprire i ruoli apicali dell’organizzazione giudiziaria.
Era da tutti auspicata una riforma che, appunto, mirasse soprattutto ad eliminare il precedente sistema, che aveva trasformato le correnti associative in veri e propri centri di potere, in grado di fare il bello e il cattivo tempo nel delicatissimo momento in cui venivano designati i magistrati destinati a dirigere gli uffici più importanti della struttura giudiziaria.
Ci sarà il tempo per descrivere, nel dettaglio, le singole modifiche, ma, fin d’ora si può dire, in estrema sintesi, che esse, singolarmente considerate, appaiono condivisibili e opportune, ma che la riforma, complessivamente, non sia affatto in grado di cambiare in modo significativo il sistema. Difficilmente, con questi soli interventi, le cose cambieranno davvero e, tutto, ben presto, si assesterà come prima.
Ci si lamentava per le cosiddette porte girevoli tra magistratura e politica, perché veniva consentito un eccessivo e continuo passaggio alla politica da parte di magistrati, che avevano avuto modo di mettersi in luce durante la loro attività professionale; e, viceversa, veniva, poi consentito il loro sistematico rientro in ruolo.
Gli esempi sono numerosissimi e importanti e non ritengo, qui, di ripetere nomi (notissimi) o di ricordare casi clamorosi. Uno solo, si, lo voglio menzionare tanto mi sembra clamoroso e assurdo: un magistrato di una nota corrente e nominato al CSM (prima come assistente e, poi, come consigliere), è stato, quindi, eletto al parlamento come deputato e, poco dopo, ha svolto il ruolo di ministro-ombra della giustizia per conto del Partito Democratico, il cui segretario era Walter Veltroni (allora l’opposizione di sinistra era solita formare un suo governo ombra).
Tale magistrato, perciò, era la massima espressione politica delle forze di opposizione nel settore della giustizia. E, fin qui, la vicenda può anche andar bene. Sennonché è avvenuto che, poco dopo, mutata la situazione al governo, tale magistrato è rientrato in ruolo ed è stato anche nominato presidente del tribunale di una città (in una regione confinante con il Veneto) importante. Egli non aveva mai svolto, neppure per un’ora, un’esperienza da dirigente o semidirigente ed era politicamente targato più di ogni altro candidato a quel posto. E’ accettabile questo?
Voglio con ciò dire che il mondo politico ha ben poco da scandalizzarsi per le porte girevoli tra magistratura e politica; se i magistrati si candidano alle elezioni è solo perché sono le formazioni politiche a proporre loro questa opportunità (che, va ricordato, consentono di guadagnare molto di più, di avere numerosi altri benefit, di acquisire maggiore visibilità per altri traguardi …)
Quindi, anche la politica si dia una regolata!
E poi approfitto per chiarire definitivamente un altro fatto: pure io sono stato, qualche anno fa, chiamato a svolgere una funzione (apicale e nazionale) fuori ruolo dalla magistratura: quello di Capo dell’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, a diretta collaborazione del Ministro della Giustizia. Tuttavia, tale funzione è l’unica che imponga, per evidenti ragioni di coerenza costituzionale, la nomina del capo nella persona di un magistrato: ogni altro ruolo può essere ricoperto da persone c.d. laiche, ma il responsabile di quella struttura deve necessariamente essere un magistrato.
In definitiva, sulle situazioni della Riforma Cartabia non si può non concordare. Ma esse non sono sufficienti. Ad esempio, la limitazione del numero dei passaggi di un magistrato da una funzione giudicante ad una requirente, pur essendo opportuna, presenta qualche controindicazione, che qui, per esigenza di sintesi, non mi è possibile precisare in dettaglio. Mi limito a dire che la Riforma Cartabia ha perso la grande opportunità di abrogare la legge Mastella (quella che impone a un magistrato un obbligatorio cambio di funzioni, pur all’interno dell’attività giudicante civile o penale, in nome di un’ipocrita ricerca di imparzialità del giudice). Tale previsione nefasta (pur frutto della scelta dell’ANM) ha creato un pressappochismo preoccupante nel lavoro dei giudici, i quali, invece, hanno assoluto bisogno di specializzazione professionale.
Occorre favorire la formazione, nei magistrati, di forti specializzazioni nelle singole materie, come si stanno sforzando di fare gli avvocati …
Ben venga, dunque, questa riforma. Ma non si fermi qui perché molti altri e ben più penetranti e significativi dovranno essere gli interventi riformativi per evitare, soprattutto, il correntismo e per favorire al massimo la formazione tecnica dei giudici e dei pubblici ministeri.
Un’ultima notazione: l’eliminazione delle 25 firme per la presentazione di una lista elettorale al CSM non serve a niente; ma è importante aver eliminato, finalmente, la previsione della necessaria formazione di liste, consentendo così anche candidature isolate. E’ già qualcosa.
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