Ancora tante ombre
Entra oggi in vigore la riforma della giustizia tributaria, attesa da decenni e più volte sollecitata anche dalla Commissione Europea.
La modifica è inclusa negli obiettivi del PNRR al fine migliorare la qualità delle sentenze e ridurre il contenzioso presso la Corte di Cassazione (oggi stimato in circa 47.364 cause pendenti).
L’impatto sull’economia del contenzioso tributario che, nei tre gradi di giudizio, vale ben sessanta miliardi di Euro (dati al 31 dicembre 2021) risultava, infatti, di rilevante entità e finiva per ostacolare l’arrivo in Italia di investitori esteri, sempre fortemente scoraggiati anche dal cattivo funzionamento della giustizia tributaria.
La riforma si pone principalmente i seguenti tre obiettivi:
– rafforzamento e specializzazione dell’organico dei magistrati tributari attuata mediante il reclutamento di 576 nuovi magistrati;
– progressiva riduzione del contenzioso pendente attuata mediante una definizione agevolata di quelle pendenti innanzi alla Corte di Cassazione (con alcune eccezioni);
– velocizzazione dei procedimenti giurisprudenziali attuata (anche) mediante l’istituzione di una Sezione civile della Corte di Cassazione che si occuperà in via esclusiva delle controversie tributarie.
Tra le novità:
– spariscono le Commissioni tributarie provinciali e regionali e vengono create le Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado;
– le Corti saranno composte in modalità collegiale e non monocratica e saranno composte da un Presidente, un vice Presidente e due magistrati o giudici tributari (ad eccezione delle liti di valore non superiore ad € 3.000,00 che saranno devolute ad un giudice monocratico);
– i giudici tributari saranno assunti a seguito di concorsi per esami banditi dal MEF previa deliberazione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria;
– in sede di trattazione del merito, il giudice potrà – a determinate condizioni – acquisire anche la testimonianza scritta;
– l’onere della prova sarà posto in capo all’amministrazione pubblica, tenuta a provare nel giudizio la fondatezza delle pretese tributarie contenute negli atti impositivi impugnati e in maniera speculare, in caso di azione finalizzata ad ottenere un rimborso d’imposta, dovrà essere il contribuente a fornire la prova della fondatezza della richiesta di rimborso.
Non sono mancate le proteste degli operatori del settore (l’Associazione Magistrati Tributari ha indetto uno sciopero dal 19 al 21 settembre prossimi, mentre i Dottori commercialisti hanno indetto uno sciopero nei giorni dal 18 al 23).
Numerosissime sono le critiche mosse a una riforma che appare appena appena sufficiente a soddisfare gli impegni presi con la Commissione europea, a evitare, cioè, di perdere i finanziamenti del PNRR. Se le novità di rilevo risultano essere ben poche, molti sono i problemi rimasti irrisolti.
La più vistosa carenza della riforma è proprio nel mancato rafforzamento dell’indipendenza del giudice tributario.
La magistratura tributaria è ancora alle dipendenze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la conseguenza che nella maggioranza delle controversie il giudice e il convenuto in giudizio saranno entrambi dipendenti dal MEF. Così non si affranca l’organizzazione amministrativa delle Corti tributarie dalla dipendenza dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e si rendono anzi i nuovi magistrati tributari dipendenti dello stesso Ministero, cioè del dicastero che è il titolare degli interessi sostanziali che sono oggetto delle controversie tributarie. La riforma addirittura rafforza il ruolo del MEF affidando allo stesso la gestione dello status economico e giuridico dei magistrati tributari e delle procedure concorsuali per il loro reclutamento.
Questo appare senza dubbio in palese contrasto con i principi costituzionalmente garantiti che richiedono indipendenza e imparzialità dei giudici in senso sostanziale ma anche formale.
L’altra critica mossa dai più riguarda il numero dei giudici che si dovranno occupare del contenzioso tributario: gli attuali 2.700 giudici onorari dovrebbero ridursi a soli 576.
Il nodo delle procedure concorsuali da espletarsi in più anni creerà un periodo di transizione molto lungo (ciascun concorso consentirà l’assunzione di 100 magistrati e l’ultimo concorso ad oggi previsto sarà bandito nel 2030), con la conseguenza che la riforma così sarà davvero completata dopo ben un decennio dalla sua entrata in vigore.
Il passaggio di consegne alla nuova magistratura tributaria appare quindi molto tortuoso e rischia, soprattutto, di creare carenze d’organico.
Un paradosso quindi: l’obiettivo è velocizzare ed efficientare, ma si crea una carenza di personale praticamente già scritta.
Neppure è il caso però di demonizzare il provvedimento.
Si tratta, più che di un intervento definitivo, di un primo passo di una riforma più ampia e sostanziale.
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Fonte: Riforma della giustizia tributaria