Siamo al Primo maggio e festeggiare il lavoro, oggi più di ieri, deve assumere un significato particolare, ma celebrarlo adesso ci impegna a cogliere la possibilità di ridiscuterne i perimetri e gli obiettivi.
|La grave crisi che stiamo vivendo, legata alla diffusione del virus, modificherà (volenti o nolenti) il futuro di tutti noi|, uomini e lavoratori, e metterà in discussione non soltanto parte del nostro assetto economico, ma anche costumi e regole sociali dei nostri “luoghi di lavoro”. Ma ogni crisi, determinando cambiamenti, può essere letta anche come una opportunità, e noi come cristiani dobbiamo assumerci l’ambizione ed il compito di partecipare nel rigenerare quella cultura politica, e se mi consentite anche sindacale, che dobbiamo fare in modo diventi la radice su cui ricostruire il “nuovo mondo del lavoro”. Lo possiamo fare da protagonisti sostenendo principalmente due argomentazioni che riguardano i lavoratori, le imprese e necessariamente anche l’economia.
|Il lavoro, innanzitutto, non può essere ridotto a solo ruolo di strumento per la determinazione del reddito|. Dobbiamo cambiare paradigma: il lavoro deve essere riconosciuto, o deve diventare, terreno in cui ogni persona possa coltivare opportunità, occasione di identità, spazio e perimetro di socializzazione, di costruzione della comunità e di azione politica. Per tutto questo c’è bisogno di ricostruire quella relazione tra impresa e lavoratore messa a dura prova negli ultimi anni. In Veneto, più o meno informalmente, l’avevamo già conosciuta ed è sempre stata alle fondamenta del nostro modello di sviluppo. Possiamo farlo rilanciando degli ampi spazi di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, senza confondere ruoli, ma generando nuove regole incentivanti e sottoscrivendo accordi a livello territoriale o aziendale. Rilanciare il tema della partecipazione può essere non solo un metodo per rigenerare quella cultura della responsabilità di cui abbiamo bisogno, ma anche il fulcro su cui far leva per poter vincere le sfide che la competizione ci riserverà. Ne hanno necessità anche le imprese.
La seconda riflessione riguarda il modello di sviluppo. |Questi mesi ci possono aver insegnato a ridefinire il nostro modello economico per renderlo più vicino ai bisogni dell’uomo e dell’ambiente|. L’eccesso di regole affidate al mercato ha allontanato l’Economia dai bisogni della persona fino a rendere centrale la necessità di retribuire il capitale investito. La presenza diffusa anche nel nostro territorio di investimenti da parte di società finanziarie internazionali, anche nel tessuto delle medie imprese manifatturiere e nel terziario, ha determinato una dicotomia tra territorio e impresa. Il territorio rischia di ridursi ad essere uno “spazio di investimento”da sfruttare, per cui oltre a lavorare sul tema della Responsabilità Sociale d’Impresa dobbiamo chiederci quanto possa tornare utile la presenza parziale di capitale pubblico in alcuni settori strategici come ad esempio, e lo abbiamo scoperto in questi giorni, il settore medicale o chimico/farmaceutico. Ricostituire una forte identità pubblica con vocazione imprenditoriale che curi l’interesse di territorio e società potrebbe rafforzare quel principio a cui teniamo tanto che vede l’Economia al servizio della persona e dello sviluppo sociale e non fine a sé stessa.
E siccome c’è un tempo per ogni cosa questo primo maggio dedichiamolo al tempo della rigenerazione affinché possa essere una festa di rinascita.