Rilancio del Mezzogiorno, Meritocrazia Italia: “Ecco perché investire nella crescita del Sud”

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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha assegnato alle Regioni del Mezzogiorno una quota che supera gli 80 miliardi di euro e che rappresenta il 40% di tutte le risorse con una destinazione specifica rispetto ai territori.

I rapidi cambiamenti geopolitici in atto hanno messo in discussione la globalizzazione a costi decrescenti sulla quale, per decenni, si è basato lo sviluppo del Paese. I territori del Mezzogiorno, pur scontando una maggiore arretratezza rispetto al resto d’Italia, sono quelli che hanno un maggior potenziale di crescita.

Fino alla metà del 2022, prima dell’inizio della guerra in Ucraina, il Mezzogiorno aveva reagito brillantemente alla ripresa post pandemia. Secondo il recente rapporto SVIMEZ, infatti, le Regioni del meridione avevano registrato un tasso di crescita superiore alla media europea, cosa che non si verificava da tantissimi anni. Questo dato, per certi versi sorprendente, fa emergere con forza la volontà di reagire ai momenti di crisi, nonostante le scelte politiche degli ultimi decenni che, di fatto, non hanno mai ridotto il divario Nord-Sud.

Assumono, pertanto, un significato importante le parole della commissaria europea per i Trasporti, la quale ha affermato che il Ponte sullo Stretto, rilanciato dall’attuale Governo, sarà incluso all’interno delle Reti di trasporto trans-europee, o Ten-T in inglese, che rappresentano l’insieme di infrastrutture di trasporto integrate, previste per sostenere il mercato unico, garantire la libera circolazione delle merci e delle persone e rafforzare crescita, occupazione e competitività dell’Unione europea. Questo a conferma di una chiara volontà politica dell’esecutivo europeo di portare a termine il progetto di cui si parla da oltre 50 anni.

D’altro lato, sempre parlando di integrazione con l’Europa, l’ottava relazione sulla Coesione economica, sociale e territoriale della Commissione europea fotografa chiaramente l’incapacità italiana di connettere le aree del Sud, rispetto al resto del Paese, con i cittadini, le aree e i mercati del resto d’Europa.

La scelta politica di costruire il Ponte sullo Stretto è, peraltro, coerente con quanto stabilito nel 2021 dalla Commissione europea, che ha proposto un piano d’azione per potenziare i servizi ferroviari per il trasporto passeggeri a lunga distanza e transfrontalieri. Questa indicazione potrebbe offrire ai viaggiatori un’alternativa ai voli a corto raggio, potrebbe ridurre le emissioni di CO2 ed eviterebbe di mantenere rotte aeree non sempre redditizie.
E proprio l’osservazione della velocità di collegamenti fra i Paesi condanna il Mezzogiorno all’emarginazione fisica, atteso che l’alta velocità ferroviaria si ferma in Campania.

Ecco che allora il PNRR rappresenta veramente un’occasione irripetibile, che potrebbe consentire di trasformare l’intero Mezzogiorno in un hub logistico, energetico, produttivo ma anche industriale dell’intera area mediterranea.

L’inflazione e la crisi energetica, senza interventi pubblici mirati, rischiano di ostacolare questa storico cambiamento, a causa del sistema produttivo e delle famiglie del Mezzogiorno. Nelle regioni del Sud, infatti, l’inflazione ha un’incidenza maggiore rispetto al resto d’Italia per via della composizione della domanda, costituita prevalentemente dalle c.dd. spese incomprimibili, cioè i beni alimentari e quelli energetici. Le imprese, inoltre, sono per la stragrande maggioranza di piccole dimensioni e, solo aggregandosi potranno ridurre l’incidenza del costo dell’energia sui propri ricavi.

L’istituzione delle Zone Economiche Speciali e la creazione di comunità energetiche potrebbero invertire la rotta. Le comunità per la produzione di energia, anche nel rispetto della necessaria transizione ecologica, potrebbero sostenere anche le famiglie a sempre maggior rischio povertà.

Il rapporto SVIMEZ evidenza, infine, le ingenti risorse che, oltre a quelle previste dal PNRR, saranno a disposizione del Mezzogiorno: dal Fondo Complementare al PNRR, a quanto non speso nel piano di Coesione Europea 2014-2020 e del nuovo piano, dai POR e PON Mezzogiorno a quanto non utilizzato del FSC.

Si tratta di oltre 250 miliardi di euro che necessitano di un serio coordinamento per eliminare le incapacità progettuali e amministrative tra enti locali e regioni, affinché non ci si preoccupi solo di spendere queste risorse, ma si traducano le stesse in progetti tecnici di investimento, con una più efficace gestione delle procedure burocratiche per la predisposizione delle gare di appalto, l’assegnazione dei lavori e l’apertura dei cantieri.

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