Oggi Roberto Baggio compie 54 anni. Per celebrare il “Divin Codino” di Caldogno, pallone d’oro nel ’93, esce in questi giorni un libro edito da Diarkos editore: “Roberto Baggio.
Il Divin codino” scritto da Fabio Fagnani, giornalista di Milano freelance per Rolling Stone Due Ruote Wired, Moto.it, Dueruote, Radio Sportiva e docente di comunicazione per Fondazione Ikaros. Milanista e appassionato di corse, considera Baggio il “migliore calciatore italiano di sempre”. Con lui abbiamo parlato del libro e di Baggio.
“Mi hanno chiesto di fare un libro su Roberto Baggio, è stato molto bello scriverlo perché è stato come scrivere di un grande amore, un calciatore che ha una storia molto particolare. Baggio si fa male giovane, subito dopo aver firmato con la Fiorentina e nel libro ci sono tre interviste, una ad Antonio Pagni, il suo fisioterapista, che dice che Baggio avrebbe anche potuto smettere subito a causa dei problemi a entrambe le ginocchia, ma per fortuna aveva un’ottima muscolatura. Ha avuto degli infortuni gravi e per i tempi era complesso tornare a una vita normale, figuriamoci tornare in campo. Ha vinto un pallone d’oro e ne avrebbe meritato almeno un altro. Baggio si è allenato più degli altri, diversamente dagli altri, ma la squadra rispettava la diversità di Baggio negli allenamenti. Nel libro c’è anche un’intervista a Bergomi, che racconta appunto come gli allenamenti anche diversificati di Baggio erano visti dalla squadra come un impegno a stare in forma e non un vantaggio o capriccio personale“.
“La figura di Baggio calciatore si avvicina molto al concetto del supereroe – ci dice ancora Fagnani – la parte più bella, catartica, non è quando vince ma quando cade e si rialza: pensiamo ad esempio a Pasadena 1994 con il rigore sbagliato in finale dei Mondiali, in un momento in cui era fuori dalla Juve. Baggio ha cambiato moltissime squadre ma ha sempre buoni ricordi, ha fatto il record di marcature al Bologna. È stato un giocatore quasi metafisico“.
“Non dedico capitoli alla persona Baggio, ma la persona si percepisce raccontando della religione, del buddhismo, del matrimonio, del rapporto difficile con gli allenatori. Era il periodo del tatticismo, non esisteva più il 10, con ogni allenatore doveva insistere e convincerlo per farsi mettere in campo, Ancelotti chiese scusa anni dopo. Penso ci sia stato un misunderstanding tra epoca e giocatore, Baggio ha esordito in un momento in cui, con allenatori come Sacchi, la tattica prevaleva“.
Pensi che il problema fosse solo tattico? Perché tra tutti gli allenatori, di club e in nazionale, il rapporto migliore, forse l’unico con cui non ci sono stati problemi, a aprte Vicenza e Fiorentina, ma era appena all’inizio, è stato con Carletto Mazzone al Brescia, alla fine della carriera?
“Non si potevano chiedere grandi sacrifici tattici a Baggio, credo che Mazzone abbia compreso appieno quello di cui Baggio aveva bisogno, cioè avere sulle spalle una squadra e sapere che poteva sbagliare, fare degli errori del resto dà la possibilità di imparare e Baggio ha sempre continuato ad imparare, al Milan e all’Inter era cambiato rispetto a Vicenza e Firenze, era meno veloce. Penso che se Mazzone l’avesse preso prima con altre squadre avrebbe potuto fare ancora meglio”.
“Forse anche lui aveva un carattere particolare, dato che non è andato d’accordo con così tanti allenatori. Bergomi dice che era come Pirlo: schivo davanti alle telecamere, ma simpatico con la squadra, faceva molte battute, non era quello che parlava di più negli spogliatoi, ma questo non significa che non fosse in grado di essere leader. Penso che Baggio sia sempre stato coerente con se stesso e che la qualità di un calciatore, ma anche di qualsiasi altro sportivo, vada oltre i trofei vinti“.