A leggere i titoli dei giornali veneti, per non dire del foglio confindustriale di Vicenza, l’impressione ingannevole che si ricava dai titoli sparati a tutta pagina è che il 17, 22 e 24 maggio ad essere interrogato a Mestre nel processo sul crac della BPVi sia stato Gianni Zonin e non che a sottoporsi alle domande del giudice Miazzi, dei pm Salvadori e Pipeschi e dei legali delle difese siano stati tre dirigenti della banca nei prime due udienze e, poi, il 24 Francesco Iorio, l’ad di transizione tra il passato e la meteora di Atlante.
I tre dirigenti hanno confermato in pieno la prassi costante delle baciate, tra cui quella di Giuseppe Zigliotto, membro del cda e imputato con Zonin anche lui (anzi solo lui tra gli altri membri del cda) ma, neanche sentissero il flusso del vecchio potere che su di loro esercitava il loro vecchio presidente presente in aula, hanno dato per plausibile la tesi a lui cara e che cioè il cda potesse non sapere.
A parte, ovviamente, il povero Zigliotto, che, lasciato solo con la sua baciata milionaria e il suo scavalcamento nel farsi liquidare milioni di euro…, veniva rappresentato, di conseguenza, dai testimoni non solo come “complice”, in quanto coautore, delle operazioni baciate, ma anche come un consigliere omertoso con tutti gli altri colleghi ignari di quello che in tanti, lui incluso, facevano: comprare azioni con i soldi prestati dalla banca che poi, ecco l’accusa, dimenticava di sottrarre queste azioni al patrimonio di vigilanza per nascondere i buchi di capitale vero.
È l’avv. prof. Rodolfo Bettiol a riportaci nella sua intervista video (ne manca una parte per un problema tecnico di cui ci scusiamo ma il succo c’è) ai fatti del processo BPVI e a sintetizzarci le testimonianze a verbale delle tre udienze e non esaltando le interviste (da Romanzo imPopolare… alla Gervasutti, il direttore del GdV delle bugie pluriennali sui fasti allora della ora fu Popolare) in cui Zonin ha ripetuto la rappresentazione di se stesso data alla Commissione di inchiesta parlamentare sulle banche.
Per la gioia di chi ne ha strombazzato ai quatto venti le frasi di auto difesa preludio a una assoluzione mediatica già in corso, il fu presidente della defunta Banca Popolare di Vicenza ha ribadito, a chi non vedeva l’ora di credergli di nuovo dopo averlo adulato negli anni dei ricchi buffet di via Btg. Framarin, che lui sapeva solo del (presunto) bene fatto dalla BPVi ma mai aveva subodorato il male che c’era dietro prestiti megagalattici concessi senza le dovute verifiche e garanzie, come ha denunciato Francesco Iorio: “l’80% dei finanziamenti oltre i 300 m milioni di euro non potevano essere restituiti“.
Ecco che forse per la prima volta al processo BPVi si sfiora la verità: alla base del crac, che le baciate hanno solo ritardato formalmente, ci sono stati i prestiti faraonici a chi mai li avrebbe restituiti intascando, quindi, una barca di denaro sottratto ai finanziatori della banca, i soci.
Truffati da chi ha mal gestito la banca (Zonin escluso ovviamente, che in 20 anni, ingenuo o incapace lo dica lui, mai si è accorto di cosa facevano i dg che lui sceglieva e cambiava come i calzini e i loro sottoposti) e, udite udite, da debitori privilegiati che mai restituiranno quei soldi e che sono, molte volte, loro stessi veneti e vicentini.
Pazienza signori, ecco la prima morale, visto che truffa è fatta in casa e se ci hanno perso tutto o quasi tutto decine di migliaia di veneti e vicentini il fatto che ci abbiano guadagnato molto solo pochi veneti e vicentini fa tornare i conti: i veneti e i vicentini, anche loro come gli italiani, mangiano in media mezzo pollo a testa…
E pazienza se questo sarà irrilevante nel processo in corso in cui i reati da valutare (aggiotaggio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza) sono molto, molto soft a meno che…
A meno che non venga definitivamente dichiarata l’insolvenza della banca con conseguente dichiarazione di bancarotta, il che aprirebbe la porta ad altri, ben più gravi, e per noi realistici, reati commessi a danno dei… truffati!