«La rivoluzione è per il popolo, e avanzerà nei paesi arabi. Questo produrrà sempre l’unità nei cuori, e stabilirà la giustizia e la democrazia. Ogni secolo, ogni generazione» [1] . Così termina l’inno di uno dei popoli arabi più dimenticati al mondo: i Saharawi, un popolo che da anni lotta per la propria autodeterminazione, costituito da un insieme di tribù arabo-berbere che abitano il Sahara Occidentale, una regione a sud del Marocco.
Si tratta di un popolo con una storia molto interessante, spesso dimenticata, con legami con il colonialismo spagnolo e con il neocolonialismo e nazionalismo marocchino. È rilevante il ruolo della Spagna, passata da nemico dei movimenti di liberazione dei Saharawi, in quanto potenza coloniale, a sostenitore della loro autodeterminazione. Recentemente però Madrid si è avvicinata alle posizioni marocchine, “tradendo” il suo legame storico con i Saharawi, che rimane evidente nelle parole del politico spagnolo Gabriel Rufián: «La sabbia del Sahara c’è ancora a Madrid. Quando la vedono, si ricordino del tradimento al popolo saharawi»[2].
Gli arabi del deserto oggi sono dimenticati da tutti, lasciati in balia delle aggressioni del Marocco, che sono riprese nel 2020 dopo 29 anni di tregua[3], e degli interessi economici celati dietro questo conflitto dimenticato.
La storia del Sahara Occidentale ci deve quindi aiutare a comprendere le tragedie di questo popolo e a riflettere sul valore dell’autodeterminazione. Come ha affermato il Presidente della Repubblica Araba Democratica dei Saharawi, Brahim Ghali, in un’intervista a Il manifesto, «il nostro popolo non rinuncerà mai a difendere il suo diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza con tutti i mezzi legittimi, anche attraverso la lotta armata di liberazione»[4].
La storia dei Saharawi inizia nel lontano 1884, quando la Spagna colonizzò l’attuale Sahara Occidentale e sfruttò le sue risorse economiche. Gli effetti del brutale colonialismo spagnolo si possono osservare fin dal 1912, quando la biblioteca di Smara, città fondata dai Saharawi, fu bruciata insieme a tutta la città per essersi ribellata. Arrivati a questo punto, ci si chiede: perché il Sahara Occidentale, con un passato colonialista simile agli altri Paesi africani, non ha seguito la storia comune dei Paesi colonizzati? Questi ultimi, infatti, tramite una lotta per la propria indipendenza contro le potenze coloniali, negli anni ’70 e ’80 si sono liberati dal giogo europeo proclamandosi indipendenti.
La risposta alla precedente domanda si rintraccia nel motivo che ha portato la Spagna ad abbandonare quei territori, che non è stata una lunga lotta di liberazione, ma la “marcia verde”, una marcia pacifica che consistette nell’invio di 350.000 marocchini disarmati nel Sahara Occidentale, organizzata dal re del Marocco Hassan II e le rivendicazioni dell’ex colonia francese su quei territori.
Dopo la ritirata spagnola nel 1976 il Marocco e la Mauritania invasero quei territori, ma il fronte Polisario organizzò una dura guerriglia contro i nuovi occupanti, costringendo la Mauritania nel 1978 a cessare le ostilità e a riconoscere ufficialmente la Repubblica Araba Democratica dei Saharawi. Neanche il Marocco riuscì a sconfiggere la resistenza saharawi e nel 1980 Hassan II fece costruire un muro che divise le zone ricche di risorse minerarie e più produttive, sotto il controllo marocchino, dalle zone interne desertiche poco produttive che erano “concesse” ai Saharawi.
Le ostilità tra il Marocco e il Sahara Occidentale continuarono fino al 1991, quando ci fu una tregua fra le due parti, che però è stata recentemente rotta dal Marocco nel 2020, con nuove aggressioni e attacchi alla strettissima fascia di terra interna e desertica rimasta ai Saharawi, nonostante gli sforzi vani dell’ONU di garantire un referendum pacifico in quelle zone[5].
Alla luce della storia e dell’attualità sanguinosa dei Saharawi, si apre una riflessione sul nazionalismo, la lotta armata e l’autodeterminazione dei popoli. I Saharawi hanno alle spalle repressione e violenza e oggi, nonostante tutte le missioni di pace dell’ONU e i tentativi di garantire un referendum per l’indipendenza, il Marocco continua le sue politiche di oppressione e mantiene salde le rivendicazioni neocoloniali su questo territorio sulla base del proprio “diritto storico”.
«Va sottolineato che la lotta armata non si fermerà fino a quando il nostro popolo non otterrà la libertà e l’indipendenza» ripete Brahim Ghali nell’intervista a Il manifesto, ma fino a che punto possiamo sostenere la lotta armata di un popolo per liberarsi, senza fomentare nazionalismi o sostenere dei “terroristi”? In fondo in una guerra siamo tutti terroristi per l’avversario, e le rispettive propagande possono influenzare la nostra posizione, ma come possiamo fare per essere sicuri di sostenere la “parte oppressa”, senza cadere nella propaganda dei tiranni?
[1] https://nationalanthems.info/eh.htm
[2] https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/26/spagna-sanchez-da-lok-al-piano-del-marocco-sulla-autonomia-del-sahara-occidentale-la-sinistra-lo-accusa-popolo-saharawi-tradito/6538026/
[3] https://elpais.com/internacional/2021-10-16/el-conflicto-silencioso-del-sahara-occidental.html
[4] https://ilmanifesto.it/noi-saharawi-senza-scelta
[5] https://www.internazionale.it/notizie/khadija-mohsen-finan/2020/11/24/sahra-occidentale-marocco-polisario
Questo articolo è il frutto della collaborazione tra il giornale Vipiù.it e il Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e Coreutico “Da Vinci” di Bisceglie (BT) per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO). Qui troverai tutti gli articoli del PCTO del Liceo “Da Vinci” di Bisceglie (BT).
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a cura di Michele Lucivero
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