Il decreto penale di condanna di Matteo Salvini per un coro a Pontida contro i napoletani, come scrive Stefano Tamagnone da CronacaQui.it, ripreso anche da laRepubblica, finisce negli atti del processo per vilipendio
Dal processo per vilipendio alla magistratura che si è aperto a Torino emerge un “precedente” di Matteo Salvini sfuggito alle cronache, con un decreto penale emesso da un giudice di Bergamo che condannò l’attuale leader del Carroccio al pagamento di una pena pecuniaria di 5.700 euro per un coro razzista contro i napoletani.
I fatti risalgono al 13 giugno del 2009, il popolo del Carroccio è in festa a Pontida. E, come accade oggi per il procedimento in cui Salvini è sotto accusa per le frasi pronunciate al congresso di Collegno in cui definì i giudici «schifezza», a documentare tutto c’è un video.
Salvini, 36 anni, allora deputato alla Camera, parlamentare europeo e capogruppo della Lega Nord al comune di Milano è quello in maglietta con una media bionda in mano sulla sinistra.
I fan gli fanno il coro personale di benvenuto – “È Matteo capogruppo, è Matteo capogruppo…”. E lui non ci pensa un attimo, leva il boccale, e lancia il coro: “Senti che puzza, scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani…”. Altra levata di bicchiere: “O colerosi, terremotati… Con il sapone non si sono mai lavati…”. Intorno tutti cantano infervorati e contenti, il filmato fa il giro del web e delle Tv.
In Parlamento scoppia la bagarre, la napoletanissima Alessandra Mussolini, deputata del Pdl, improvvisa un rap partenopeo, per poi correre verso il banco del collega leghista con in mano un disinfettante. E Salvini (che avrebbe comunque dovuto lasciare perché eletto in Europa) chiede scusa e si dimette. Il caso sembra chiuso qui, i giornali non ne parlano più. Ma a due signori partenopei quel coro proprio non non è andato giù.
E querelano il futuro leader del Carroccio. È la Procura di Bergamo ad aprire un fascicolo, Matteo Salvini viene iscritto sul registro degli indagati per diffamazione e per violazione di quella legge Mancino che punisce chiunque istighi a commettere o commetta atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e il pm – ritenendo che l’indagato debba subire solamente la pena pecuniaria – chiede al giudice l’emissione, concessa, di quel decreto penale di condanna che adesso è finito agli atti del processo torinese.
È stato il procuratore aggiunto Emilio Gatti a chiedere di acquisirlo, sostenendo che può servire a far luce sulla personalità dell’imputato, e il giudice, Roberto Ruscello, l’ha ammesso.