Salvini, le furbizie del “capitano”… coccodrillo: si apre un nuovo ventennio e lui si commuove

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Matteo Salvini esibisce il Rosario in una delle sue esibizioni
Matteo Salvini esibisce il Rosario in una delle sue esibizioni

Ieri si è consumata l’ennesima “furbizia” di Salvini. Ha “tolto la spina” al  governo “giallo-verde” di Conte. Un governo disastroso che ha prodotto leggi e norme antidemocratiche e discriminatorie (i famigerati decreti sicurezza sono esempi eclatanti) e che ne ha promesso altre anch’esse pericolose (la Flat Tax è un esempio, come le paventate leggi sulla famiglia, retrograde e oscurantiste).

Così, dopo aver tentato di coprire “scandali” piccoli o grandi deviando l’attenzione dell’opinione pubblica verso l’arrivo dei migranti o alzando polveroni su ogni fatterello che ritenesse utile ai suoi fini, dopo aver frequentato le spiagge italiane in una campagna elettorale perenne, ieri ha dichiarato che il governo non esiste più e che si deve andare a votare al più presto (cosa, per altro, difficile se la si vuol fare con tutte le garanzie costituzionali e permettendo anche a chi non è in parlamento di partecipare).

Lo ha fatto grazie al potere che gli è stato conferito dal suo alleato (il M5S) che si è dimostrato per quello che è: debole, impreparato, inadeguato, pronto a chinarsi di fronte alla volontà del capo della Lega. E, ricordiamolo, Salvini è stato reso forte e arrogante anche grazie a un’opposizione inesistente e ambigua.

Così Salvini, dimostrando anora una volta la sua furbizia, è potuto scappare dalle sue responsabilità. Lo ha fatto all’epoca del “caso Diciotti” (quando fu “salvato” da un processo grazie al voto compiacente e succube del M5S), lo ha fatto non presentandosi al Senato per rispondere dello “scandalo” denominato “Moscopoli”. Lo ha fatto anche ieri. Perché quello che è successo ieri è una fuga dalle responsabilità. L’ennesima dimostrazione di quanto a Salvini non stia a cuore il Paese ma se stesso e il suo partito.

Una fuga perché è palese, ormai, come Salvini non voglia affrontare il problema della “finanziaria” con la quale, è altrettanto chiaro, non avrebbe potuto realizzare le promesse che ha sbandierato in questi mesi: taglio delle tasse, realizzazione delle grandi opere, investimenti miliardari … e, contemporaneamente, evitare l’aumento dell’IVA. Tutte cose che costerebbero, secondo le stime, oltre 60 miliardi di euro e che non hanno copertura finanziaria. Pura propaganda.

Così, Salvini, ha “staccato la spina” per non dover essere lui a smentire se stesso. La colpa di eventuali manovre “lacrime e sangue” sarà di altri. Lui non c’entra, si rifà una verginitù (naturalmente con l’aiuto della “beata vergine Maria”, com’è solito dire). E, questa sarà la sua campagna elettorale, vedrete.

Passerà dallo slogan “non mi hanno lasciato fare”, alle dichiarazioni di onestà (alla faccia dei vari esponenti leghisti indagati, incarcerati, sotto processo, condannati e dei 49 milioni che la Lega restituirà allo stato in 76 “comode rate” annuali), allo sgombero di qualche stabile occupato (ma non di quello di Casapound, per carità), a inveire contro i clandestini, gli “zingari”, i “politici” che non fanno niente mentre lui lavora così tanto … Insomma, la solita campagna elettorale populista e propagandista che non ha alcuna prospettiva se non quella di ottenere consenso immediato.

E, così, si andrà avanti con gli elettori ridotti al ruolo di spettatori plaudenti verso chi la spara più grossa (e Salvini, in questo, è maestro), che odieranno quelli che “ci rubano il lavoro e isoldi” (ma non i padroni che delocalizzano e chiudono le fabbriche o gli evasori che si arricchiscono con le tasse degli onesti, quelli no perché, ci diranno, che “non possono fare altrimenti” perché lo “Stato è cattivo” mentre “privato è bello”).

Si apre un nuovo ventennio, e questo si annuncia pericoloso e cupo come e più degli altri. Ci sarà un attacco alla Costituzione, ai suoi principi e ai suoi valori. Si limiteranno e si cancelleranno diritti sociali e civili, quelli individuali e collettivi fondamentali al lavoro, alla salute, all’istruzione, alle libertà di credo religioso, di ideale politico, di orientamento sessuale … Diventeremo tutti sudditi di un “capo”, un “duce”, un “capitano”.

Avete visto Salvini ieri durante il suo comizio a Pescara? Ha scavalcato tutto e tutti. Ci ha voluto far sapere che è lui che decide. Ci ha detto che lui lavora come un matto mentre gli altri sono in vacanza (cosa che detta da lui è un invito a una sana risata o, perlomeno, dovrebbe farci sorridere). Ha affermato  che lui e i suoi amici sono “gli onesti”. Pretende di avere mano libera e di dettare le regole del gioco (che, proprio per questa sua convinzione, non sarebbero più né costituzionali né, tanto meno, democratiche). Ci vuol fare capire che lui è “come la gente”, che vive in mezzo ad essa, che lui è il vero nemico della “politica” (proprio lui che ha vissuto di “politica” da sempre e che è famoso per le sue assenze là dove era stato eletto). Ha attaccato le Istituzioni dello Stato umiliandole al ruolo di mere esecutrici delle sue decisioni.

Infine, ha parlato dei suoi figli e, allora, si ha voluto mostrare il suo lato umano. Ha dimostrato agli spettatori che anche i duri hanno il cuore tenero. Si è commosso e ha, forse, versato qualche lacrima. Proprio come fanno i coccodrilli dopo aver sbranato la preda.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.