La Valle dell’Orfento è uno dei posti più suggestivi d’Abruzzo. La natura che circonda l’omonimo fiume accompagna il visitatore attraverso una serie di percorsi che si snodano tra boschi di faggi e querce, habitat di una ricca e variegata fauna. I sentieri si arrampicano fino ad un’altezza di 2000 metri sul livello del mare, conducendo a luoghi davvero suggestivi e intoccati. L’eremo di San Giovanni all’Orfento, sulle pendici del massiccio della Maiella, è forse il più suggestivo di questi luoghi, tanto per la sua conformazione, tanto per la sua storia, marcata dalla presenza di un eremita molto famoso.
San Giovanni all’Orfento, l’eremo “dove si arriva strisciando”
La parola eremo deriva dal greco antico ἔρημος “eremos”, che significa “solitario”. San Giovanni all’Orfento ancora oggi rispecchia perfettamente questa definizione, collocato com’è nel cuore di un grande parco nazionale. Per raggiungerlo è necessaria un’autorizzazione da chiedere al Centro Visite nel paese di Caramanico Terme: il percorso non è semplice, e alcune imprudenze potrebbero renderlo addirittura pericoloso.
L’eremo nel suo complesso si presenta come una rientranza scavata in un costone di roccia sporgente, suddiviso in due stanze. A condurre il pellegrino o il semplice visitatore verso la meta è dapprima una scalinata levigata nella roccia, che lascia poi spazio ad un breve tratto in leggera pendenza. La visita non è indicata per chi soffre di vertigini, perché lo stretto corridoio, già di per sé privo di appigli, si interrompe con una sporgenza rocciosa. L’eremo è a pochi metri di distanza, ma per accedervi è necessario sdraiarsi bocconi e strisciare nel piccolo interstizio lasciato libero dalla roccia.
Nella prima delle due stanze è possibile apprezzare un ingegnoso sistema per la canalizzazione delle acque piovane, che confluivano nel pozzetto adiacente all’altarino. Trascorrere giorni e notti qui significava godere del panorama mozzafiato che si apre davanti all’unico esposto dei quattro lati, ma anche sopportare le intemperie e le temperature rigide, soprattutto quelle notturne.
Celestino V, l’eremita
L’eremo di San Giovanni all’Orfento fu uno dei luoghi preferiti di un importante personaggio storico: Pietro da Morrone, consacrato alla storia con il nome di Celestino V, 192º papa della Chiesa Cattolica. Pietro Angelario, questo il suo nome al secolo, era un eremita di origini molisane. La sua ascesa al soglio pontificio fu fulminea quanto il suo pontificato, che si interruppe per suo stesso volere. Essendo completamente estraneo alle dinamiche ecclesiastiche che poco avevano a che fare con la spiritualità, non resistette che pochi mesi alla guida della Chiesa di Roma, finendo così per abbandonare le vesti di pontefice con l’intenzione di tornare alla sua vita eremitica. La storia però andò diversamente: l’ex papa fu arrestato per conto del suo successore, che temeva potesse diventare il pretesto per uno scisma. Pietro Celestino morì dopo poco più di un anno nella rocca di Fumone, dove era stato rinchiuso.
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.Inferno, Canto III, vv. 58-60
È probabilmente con lui che si identifica “colui che per viltade fece il gran rifiuto”, citato da Dante Alighieri nel Canto III dell’Inferno. Il gesto di Celestino V fu accolto e interpretato in diversi modi. Dante, ad esempio, parlò di viltade, accusandolo, di fatto, di aver favorito l’elezione del controverso Bonifacio VIII.
L’eremita divenne però santo alcuni anni dopo, e ancora oggi è visto da molti come l’esempio di una fede pura e semplice, vissuta attraverso tutte le rinunce fisiche che comporta l’eremitaggio. Parte della sua eredità culturale sono i numerosi eremi sparsi per l’Abruzzo, (tra cui l’Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca). Su molti di questi luoghi sorgono ora santuari o piccoli luoghi di culto. La particolarità di San Giovanni all’Orfento, però, è proprio la sua natura ancora “eremitica”. Un luogo ancora difficilmente accessibile, a stretto contatto con la vegetazione e gli animali, così come sceglievano di vivere gli antichi asceti.