Sabato 11 aprile, in tempi di Coronavirus e mentre sono in corso anche indagini giudiziarie sugli anziani deceduti al pio Alberto Trivulzio e altre potrebbero partire per i morti che si registrano in altre Rsa come l’ipab di Vicenza, su La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano e, forse, su altri media nazionali è comparsa una pagina di pubblicità recante i loghi di Confindustria Lombardia, A.I.O.P. (Associazione Italiana Ospedalità Privata, sede regionale Lombardia), ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio sanitari) e Regione Lombardia.
In questa pubblicità (plausibilmente pagata, e non poco, con soldi che, evidentemente, non servivano per migliorare le prestazioni sanitarie attuali per cui pure si fanno raccolte di fondi) si magnificano i risultati ottenuti dalla “sanità privata insieme alla sanità pubblica” in termini di vite umane salvate dal coronavirus. Un’alleanza che “ha permesso di arginare l’emergenza”.
Ora sembra un po’ eccessivo dichiarare un successo quanto è accaduto in Lombardia.
I dati, impietosi, lo dimostrano. La Lombardia è la regione italiana con più casi conclamati di Covid-19 e con il maggior numero di decessi. Un tasso di morti in relazione ai casi totali di contagiati che è di circa il 18%, ben maggiore che in qualsiasi altra regione italiana. Non solo sono emerse situazioni drammatiche che si sono verificate (e si verificano) nelle case di cura (RSA) lombarde. Il Pio Albergo Trivulzio è un esempio eclatante di quanto sia accaduto.
Eccessivo e inopportuno anche ricordando quanto è successo nella regione Lombardia durante la presidenza Formigoni proprio riguardo la sanità pubblica e privata.
Eccessivo e inopportuno se si legge la lettera di medici lombardi indirizzata all’avv. Gallera (assessore regionale lombardo al Welfare) nella quale si scrive testualmente “La situazione disastrosa in cui si è venuta a trovare la nostra Regione, anche rispetto a realtà regionali vicine, può essere in larga parte attribuita all’interpretazione della situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, quando in realtà si trattava di un’emergenza di sanità pubblica. La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra Regione.” In questa lettera si scrive anche come “sia risultata evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio” e come sia stata evidente “l’incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio”.
Scrivere sulla pagina pubblicitaria, in cui il pubblico e il privato sono “insieme” per pagarla, che “il modello sanitario lombardo ha mostrato tenuta, coesione, collaborazione e straordinaria reattività” è per lo meno eccessivo e per nulla realistico.
Affermare che sia stata l’alleanza tra sanità pubblica e privata a salvare 28.224 vite è qualcosa che non ha logica. Invece di dare il massimo appoggio e materiale adeguato al personale che sta operando al massimo delle proprie capacità dando un esempio di professionalità, dedizione e sacrificio (loro sì medici, infermieri e ausiliari, hanno salvato e salvano vite umane) i responsabili della gestione dell’emergenza fanno un’azione propagandistica.
Forse si preparano al dopo per continuare con le pratiche abituali, quelle denunciate nella lettera richiamata poco fa, con il trasferimento di risorse dal pubblico al privato. Ci dicano perché la sanità pubblica è stata depotenziata, perché i letti di terapia intensiva sono stati tagliati in questi ultimi decenni, perché non esistevano mascherine e strumentazione sufficiente e perché non ci si è preparati a questa epidemia pur essendo a conoscenza di quanto sarebbe successo e quanto stava succedendo in Cina. Invece di farsi propaganda “magnificando un disastro” dovrebbero spiegarci perché, in Lombardia, ci sono stati oltre 10.000 morti (al 12 aprile 10.631).
Infine un’ultima domanda: le 28.224 vite salvate a cosa si riferiscono dal momento che dalle tabelle diffuse dalla protezione civile non risulta niente del genere?
Al 12 aprile i dimessi/guariti risultano essere, in Lombardia, 17.166.
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