Secondo una leggenda – che, a dirla tutta, ha più il sapore di una teoria complottista -, nei sotterranei del Vaticano sarebbe custodito un oggetto molto particolare: un “cronovisore“, una sorta di macchina del tempo capace di captare immagini e voci dal passato. Ovviamente, non esiste alcuna prova scientifica riguardo questa curiosa invenzione; la buona notizia, però, è che esistono dei luoghi a noi molto vicini dove è possibile fare “una passeggiata nel Medioevo” senza scomodare aggeggi fantascientifici. Uno di questi è Santo Stefano di Sessanio, inserito tra i borghi più belli d’Italia e immerso nei panorami del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga.
Come in una bolla temporale – Gli abitanti di Santo Stefano di Sessanio sono poco più di un centinaio, sparsi in un territorio che copre all’incirca 33 chilometri quadrati. Siamo in provincia dell’Aquila, in Abruzzo, al di sotto della piana di Campo Imperatore e ad un’altitudine di circa 1200 metri sul livello del mare che si rivela una fonte inesauribile di suggestivi panorami.
Il borgo è stato interamente forgiato in pietra calcarea bianca e, per questo, appare sempre come avvolto da un’atmosfera ovattata e candida che dà un tocco in più all’architettura locale: ben progettata, attenta al decoro e omogenea, “veste” la cittadina di scalinate, selciati, vicoli e strade, mentre sotto le case corrono dei percorsi alternativi che difendono i residenti dalle nevicate a volte violente e dal gelo che, in inverno, fa spesso capolino da queste parti. A fare da sfondo, una chiesetta del XIII-XIV secolo (a cui fanno compagnia altre chiese e cappelle) e una torre detta medicea perché appartenuta alla famiglia de’ Medici, anche se probabilmente parecchio più antica.
Ma le epoche storiche, in questo posto incastonato tra le cime abruzzesi, si fondono e confondono. Le uniche fonti certe che consentono di ricostruirne la cronologia parlano di un antico insediamento romano che attraversa i secoli fino a ritrovarsi sotto la dominazione delle più importanti famiglie italiane: dai Piccolomini di Siena ai Colonna di Roma, dai Medici di Firenze ai Borbone di Napoli, tanto per citarne alcune. Nel frattempo, la piccola cittadina era diventata un polo della transumanza e della pastorizia con l’abolizione, all’epoca degli Aragonesi, della tassa sugli animali e il riordino dei pascoli. Un ruolo che ha mantenuto fino all’Unità d’Italia.
Il momento di massimo splendore, però, è sicuramente da ritrovarsi nei quasi due secoli in cui Santo Stefano di Sessanio è appartenuta alla Signoria di Firenze: era il tempo, tra le altre cose, del fiorente commercio della lana “carfagna”, prodotta in loco, lavorata in Toscana e venduta in tutta Europa.
E dopo?
Con l’Unità, com’è accaduto per tanti altri luoghi del centro-sud, cominciò anche la sfortuna di questo borgo che, a causa della privatizzazione delle terre del Tavoliere delle Puglie, cominciò a spopolarsi e a diventare quasi una città fantasma. In cerca di una nuova stabilità economica, i suoi abitanti furono costretti ad emigrare verso altre regioni o persino all’estero.
La storia ricca e densa di Santo Stefano di Sessanio è matrice dell’aria che si respira tra le sue strade. Camminare lungo le sue arterie significa perdersi ad ammirare abitazioni quattrocentesche, loggiati, bifore e bellissime finestre in pietra, archi e formelle fiorite, ma anche tributi a chi ha reso la città grande ed importante, come lo stemma della casata Medici che compare sulla porta d’ingresso a Sud-Est. La struttura del borgo è particolare: a nido d’aquila, il che significa che si avvolge su se stessa attraverso casette attaccate le une alle altre fino all’altura della torre centrale, come in una sorta di muro di cinta. Subito oltre questo insolito perimetro, un laghetto con canneto viene alimentato dallo scioglimento delle nevi e, sulle sue rive, sorge una chiesetta intitolata proprio alla Madonna del Lago (XVII secolo).
In questo scenario, si inserisce una leguminosa d’altura che è diventata un simbolo di questo piccolo angolo italiano: la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, riconosciuta tra i prodotti agroalimentari tradizionali abruzzesi e i presidi Slow Food, documentata sin dal X secolo e, quindi, dalla fondazione del borgo. Ancora oggi viene coltivata con il metodo tradizionale ed esclusivamente a mano, per evitare ingenti perdite (visto che cresce su territori molto impervi) e preservarne la qualità. È una lenticchia molto piccola, dal colore marroncino-violaceo, poco grassa e parecchio proteica che non ha bisogno di essere messa in ammollo prima di finire in pentola!
Oggi – Il borgo di Santo Stefano di Sessanio è rimasto come fermo nel tempo: distante poco più di 25 chilometri dal capoluogo di regione, offre un’atmosfera molto particolare in cui immergersi che sa di pace, natura, storia e antico.
Ha trovato nuova linfa vitale nel XXI secolo, grazie ad una politica locale che ha incentivato il turismo e all’ottimo lavoro portato avanti da alcuni giovani con la pro loco. Anche l’albergo diffuso ricreato nel 1994 da un giovane imprenditore milanese di origini svedesi ha dato un prezioso contributo, realizzando un progetto di recupero conservativo del paesaggio, delle tradizioni e degli immobili che è rimbalzato sulle pagine delle cronache di tutto il mondo.
La sua posizione geografica, però, è anche fonte di molte preoccupazioni, poiché il territorio si ritrova periodicamente interessato da piccoli e grandi terremoti: quello del 2009, ad esempio, ha abbattuto la Torre Medicea, successivamente ricostruita con un investimento di un milione di euro.
Recentemente, un’iniziativa pensata dall’amministrazione per ripopolare il paese è finita su Forbes: il progetto prevedeva la concessione di un contributo mensile a fondo perduto per tre anni (fino a un massimo di 8mila euro all’anno), la messa a disposizione di un’abitazione a un affitto simbolico e un contributo a fondo perduto (fino ad un massimo di 20mila euro, una tantum) per l’avvio di un’attività imprenditoriale in loco, chiedendo in cambio una permanenza di almeno 5 anni.