Schio, la commovente visita al Santuario di Santa Bakhita, paladina di libertà e umanità

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chiesa santa bakhita
La chiesa della Sacra Famiglia a Schio, contenente le spoglie di Santa Bakhita. Foto: Marta Cardini

Appena si arriva alla chiesa della Sacra Famiglia a Schio, si ha subito la sensazione che si farà un’esperienza singolare nella propria vita. La chiesa è infatti il Santuario di Santa Giuseppina Bakhita, conosciuta come “Madre Moreta“, e tempio dell’Istituto Canossiano. Bakhita era una suora canossiana di origine sudanese, che era aveva vissuto in schiavitù molti anni della propria giovinezza. Perciò diventò in seguito paladina di libertà e umanità. All’esterno della chiesa si trova anche un mosaico con il volto della suora canossiana divenuta Santa.

Il tempio

Appena entrati nella chiesa, si rimane affascinati dal bellissimo tempio neoclassico dallo stile simile al Pantheon di Roma. C’è una bella cupola, che diffonde la luce. Nel presbiterio, in un’urna di bronzo e vetro, sono conservate le spoglie di santa Giuseppina Bakhita, morta a Schio l’8 febbraio 1947 e beatificata il 17 maggio 1992. In occasione della canonizzazione della Santa, avvenuta il primo ottobre del 2000, la chiesa fu accuratamente restaurata. Oltre a quattro dipinti di Giuseppe Mincato che raffigurano la Sacra Famiglia, nella chiesa c’è una pietà, opera di Romano Cremasco ed una Via Crucis in terracotta del figlio Giovanni Cremasco.

L'interno della chiesa.
L’interno della chiesa. Foto: m.c.

La storia di Bakhita e le testimonianze

Sulla destra si accede a una mostra permanente, che racconta la storia di Bakhita. Nacque intorno al 1869 ad Olgossa, un piccolo villaggio del Sudan occidentale. All’età di circa otto  anni fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari. I suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa “fortunata”. Venduta più volte dai mercanti di schiavi sui mercati di El Obeid e di Khartum, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. In particolare, subì un tatuaggio cruento mentre era a servizio di un generale turco. Le furono disegnati più di un centinaio di segni sul petto, sul ventre e sul braccio destro, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale per creare delle cicatrici permanenti.

spoglie bakhita
Le spoglie di Bakhita. Foto: m.c.

Nella capitale sudanese venne infine comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani, con il proposito di renderle la libertà. Nella casa del console Bakhita visse serenamente per due anni lavorando con gli altri domestici senza essere più considerata una schiava. Quando nel 1884 il diplomatico italiano dovette fuggire dalla capitale in seguito alla Guerra Mahdista, Bakhita lo implorò di non abbandonarla. Insieme ad un amico del signor Legnani, Augusto Michieli, raggiunsero prima il porto di Suakin sul Mar Rosso, dove appresero della caduta di Khartum, e dopo un mese si imbarcarono alla volta di Genova.

L’arrivo in Italia

In Italia Augusto Michieli con la moglie presero con loro Bakhita come bambinaia della figlia Mimmina e la portarono nella loro casa a Zianigo (frazione di Mirano). Dopo tre anni i coniugi Michieli si trasferirono in Africa a Suakin dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita in affidamento presso l’Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena e cominciò a ricevere così un’istruzione religiosa.

vetrina oggetti importati dall'Africa
Una vetrina con alcuni oggetti importati dall’Africa da Bakhita. Foto: m.c.

Quando la signora Michieli ritornò dall’Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest’ultima, con molto coraggio e decisione, manifestò la sua intenzione di rimanere in Italia con le suore Canossiane. La signora Michieli fece intervenire il Procuratore del Re, venne coinvolto anche il cardinale patriarca di Venezia Domenico Agostini, i quali insieme fecero presente alla signora che in Italia non erano riconosciute le leggi di schiavitù: il 29 novembre 1889 Bakhita fu dichiarata legalmente libera.

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La vetrina con all’interno gli strumenti di tortura. Foto: m.c.

Dalle suore Canossiane

Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana e con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. Il 7 dicembre 1893 entrò nel noviziato dello stesso istituto e l’8 dicembre 1896 pronunciò i primi voti religiosi. Nel 1902 fu trasferita in un convento dell’ordine a Schio dove trascorse il resto della propria vita. Qui lavorò come cuciniera, sagrestana, aiuto infermiera nel corso della prima guerra mondiale quando parte del convento venne adibito ad ospedale militare. A partire dal 1922 le venne assegnato l’incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne così ribattezzata dagli scledensi (cioè dagli abitanti di Schio) “Madre Moréta”.

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Il letto dove dormiva da suora canossiana a Schio. Foto: m.c.

L’esposizione permanente

All’interno si trovano grandi pitture murali, realizzate dal pittore Mario Bogani di Como, che  descrivono con chiarezza ed espressività la storia della Santa. Nella mostra si possono anche vedere le foto della casa dove la giovane schiava soggiornò al suo arrivo in Italia, a Zianigo di Mirano (VE).

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Alcuni strumenti musicali di Bakhita e sullo sfondo il dipinto che ne rappresenta il Battesimo. Foto: m.c.

Ci sono poi delle vetrine, che contengono testimonianze della vita di Bakhita in Sudan, la sua sofferenza durante la schiavitù, l’arte e la creatività e gli strumenti di musica africani che annunciano la gioia della liberazione. Si trovano infatti oggetti di Bakhita importati dall’Africa, oggetti che descrivono le torture, le incisioni che le fecero sul corpo con il sale, strumenti ricreativi della Santa, monili che faceva costruire alle Consorelle ecc…  Ci sono poi poi un grande dipinto che rappresenta il giorno del Battesimo, testimonianze della Cresima e della Prima Comunione, della giovinezza e della vecchiaia. Si arriva poi alla camera da letto dove dormiva la suora canossiana, dove ci si ritira in preghiera. Poi ci reca davanti a una vetrina che espone numerosi documenti che testimoniano alcuni miracoli compiuti dalla Santa. Qui si trova anche la cittadinanza onoraria conferitale lo scorso 16 dicembre 2017 dal Comune di Schio.

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Una statuetta della Santa.

La conclusione della visita

La visita si conclude ritornando nel tempio per una preghiera alla Santa che ha spiegato per tutta la sua vita quanto importante sia la condizione di libertà, che spesso noi diamo per scontata.

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Il mosaico all’esterno del Santuario che rappresenta il viso di Bakhita. Foto: m.c.