L’obiettivo di sconfiggere la fame nel mondo, come suggerisce l’Agenda 2030 dell’ONU, passa attraverso una nuova ed ecologica cultura dell’alimentazione responsabile.
Il secondo obiettivo che si propone l’Agenda 2030 dell’ONU nell’ambito delle iniziative per «ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti» è legato alla necessità di sconfiggere la fame nel mondo. In una visione positivistica della realtà, in accordo alla quale andremmo sempre verso un avanzamento delle conoscenze scientifiche, delle tecniche e delle tecnologie, è impensabile poter constatare che nel 2022 ci siano ancora persone che vivono sotto la soglia di povertà. La verità è che oggi noi riusciamo a produrre tanto, forse troppo, ma, purtroppo, colpevolmente, non per tutti gli 8.000 abitanti che vivono sul nostro pianeta.
A ben vedere, dal punto di vista del contrasto alla fame nel mondo, il problema posto a livello globale come urgente da parte degli estensori dell’Agenda 2030 non è quello di trovarsi di fronte ad una endemica scarsità di risorse, quanto, piuttosto, quello di una gestione diseguale degli approvvigionamenti e della distribuzione mondiale del cibo, come anche della ricchezza.
Insomma, è sotto gli occhi di tutti che il problema della fame nel mondo è legato alla cattiva gestione dell’accesso alle risorse, in particolare quelle primarie, a cui si aggiunge anche la problematica di favorire e sostenere in molti contesti geografici un’alimentazione che sia il più sostenibile possibile.
Non solo, dunque, è necessario migliorare la distribuzione delle risorse, ma è indispensabile anche avviare progetti per educare ad una maggiore sostenibilità della produzione alimentare, in particolare quella legata all’agricoltura, alla pesca, all’allevamento. Si tratta di ridurre, ad esempio, gli allevamenti intensivi, l’utilizzo di pesticidi, le monoculture letali per alcuni contesti naturali.
L’obiettivo della eliminazione della fame nel mondo non è solo la possibilità di saziare tutti e tutte, ma anche di offrire alla totalità degli esseri umani una varietà alimentare che tenga conto anche dei luoghi, delle colture e delle culture in cui gli alimenti vengono prodotti. In questo senso, occorre rafforzare il sistema produttivo locale e favorire la varietà delle sementi piantate, al fine di proporre una cultura economica non solo di larga scala e di grandi produzioni intensive, ma di culture locali resilienti, in grado di resistere e di modificarsi all’interno degli habitat in cui gli esseri umani vivono.
Non si può più pensare e proporre un’alimentazione identica in ogni punto del globo, una alimentazione da Fast Food, ma occorre sostenere una varietà e ricchezza degli alimenti che proponga anche un consumo critico del cibo. Occorre favorire, inoltre, la capacità di ogni paese di rafforzare la propria produzione, di gestire meglio le risorse che già possiede, di arginare i cambiamenti climatici attraverso coltivazioni e allevamenti locali e indigeni. In questo modo, si potrà anche contenere la volatilità dei prezzi alimentari, attraverso banche dati di sementi, tecnologie in grado di garantire un corretto accesso ai mercati e lo sviluppo di conoscenze locali.
Non a caso l’incontro tra un maestro della gastronomia responsabile, come Carlo Petrini, fondatore nel 1989 di Slow Food, e un maestro della letteratura mondiale, come il compianto scrittore cileno Luis Sepulveda, da sempre impegnato nella lotta alle ingiustizie sociali e nell’affermazione di uno stile di vita più ecosostenibile, sortisce un effetto sorprendente nel connettere insieme valori come la felicità, la gastronomia, lo sviluppo, la condivisione, il nutrimento, la natura e la politica[1]. Nel libro Un’idea di felicità i due autori si trovano a riflettere ed esternare alcune considerazioni non solo sulla felicità, ma anche sulla distribuzione delle risorse e su tutto ciò che potrebbe contribuire a costruire un futuro migliore nel segno del rispetto per i diritti umani, degli animali e della Terra intera. Tuttavia, il testo è anche l’occasione per guardare al passato e valorizzare quelle esperienze significative senza quella incartapecorita patina nostalgica tipica di chi vive in una storia antiquata o monumentale stucchevole e poco edificante per le future generazioni.
La riconsiderazione del passato è funzionale alla ripresa di alcuni valori, come quelli della semplicità, della lentezza, della solidarietà, ma anche quello del gusto autentico che passa attraverso la bellezza del mangiare insieme un pasto frugale e autoprodotto. Si tratta di valori che, nonostante l’adesione entusiastica al presente, possono e devono essere praticati affinché si possa allontanare la becera assimilazione di tutto il nostro tempo ad una umanamente scadente idea di turbocapitalismo globalizzante, preda dell’egoismo e dell’individualismo.
Da questo punto di vista è estremamente interessante guardare alla gastronomia, secondo quanto afferma Carlo Petrini in un altro testo politicamente rivoluzionario dal titolo Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione[2], come ad uno strumento di liberazione in grado di affrancare le persone da vincoli economici e da forme di sfruttamento indotto dalle multinazionali dell’alimentazione.
[1] Cfr. C. Petrini, Sette idee di futuro, in L. Sepulveda, C. Petrini, Un’idea di felicità, Giunti-Slow Food Editore, Firenze-Bra 2014, pp. 99-156.
[2] C. Petrini, Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione, Giunti-Slow Food Editore, Firenze-Bra 2013.