La scuola tra crescita intellettuale e sviluppo economico. “Filosofia in Agorà”: sul paradigma pedagogico neoliberista del Ministro Bianchi

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Patrizio Bianchi, a capo del Ministero della Pubblica Istruzione
Patrizio Bianchi, Ministro della Pubblica Istruzione

Che le nostre società occidentali siano entrate già da tempo all’interno del tritacarne neoliberista è un dato di fatto così scontato e bipartisan che ormai ci limitiamo solo ad adottarne il lessico e lo schema di ragionamento persino nella scuola, anche perché viene direttamente dallo Stato e di questi tempi ad esercitare il dubbio e a prendere precauzioni nei confronti delle decisioni di Stato si rischia di esporsi al linciaggio mediatico, quello al quale è abituata da sempre, del resto, la filosofia.

Eppure la confusione regna sovrana anche e soprattutto a livello linguistico e semantico già nel lessico utilizzato dal Ministro della Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi nel suo libretto Nello specchio della scuola nel 2020, una sorta di piattaforma programmatica del suo impegno istituzionale in favore delle discipline STEM nella scuola.

La premessa, tutta da dimostrare, dalla quale prende le mosse il discorso di Bianchi è che esista un nesso forte tra educazione e sviluppo, un nesso che, in realtà, andrebbe approfondito soprattutto a livello semantico rispetto alle affini sfumature che assumono entrambi i concetti, includendo anche i termini di crescita, sul versante pedagogico ed educativo, e quello di modernizzazione, inteso come l’effetto finale dello sviluppo in senso tecnologizzante.

E la necessità di dirimere la confusione semantica si palesa, a fortiori, nel fatto che lo sviluppo, come lo intende Bianchi, che vorrebbe anche utopisticamente essere «socialmente ed economicamente sostenibile», infilandosi nella nebulosa indeterminata della «capacità di organizzare le competenze, le abilità manuali e il giudizio critico delle persone»[1], veda la sua realizzazione all’interno della scuola. Si tratterebbe di una scuola che viene messa al servizio della comunità, ma, in realtà, essa risulta esclusivamente al servizio del neoliberismo, che ha preso il sopravvento sulla comunità.

La chiarificazione semantica, ad ogni modo, è necessaria per comprendere, a monte, lo slittamento che vi è stato negli ultimi anni, e ormai largamente accettato nel linguaggio comune anche tra gli operatori scolastici, dalla focalizzazione sulla crescita a quella sullo sviluppo.

Da un punto di vista meramente filosofico e pedagogico, il termine che veniva adottato comunemente per riferirsi agli esseri umani in formazione fino agli anni ’70 era quello di crescita, un termine che allude ad un processo di elevazione spirituale, morale, intellettuale. Tuttavia, con la sovrapposizione del campo economico, ma anche di quello fisiologico e biologico in virtù della sua apodittica certezza scientifica, all’ambito del nuovo dominio psicopedagogico, si è avuto uno slittamento che ha confuso due campi semantici che dovrebbero rimanere, invece, costitutivamente distanti.

L’uso del termine sviluppo, infatti, che deriva da dis-viluppare, implica semanticamente la necessità di togliere qualcosa dal suo viluppo. In sostanza, un fenomeno complesso che si presenta solitamente avviluppato da numerosi elementi necessita di essere sfrondato, occorre togliere per far prendere allo stesso un corso ordinato o preordinato, semplificato, ridotto di complessità, anche, magari, per renderlo più comprensibile alla mente umana nella sua semplificazione. All’opposto vi è, invece, dal punto di vista semantico il concetto di crescita, da crescere o accrescere, che rimanda alla necessità di arricchire, di aumentare la complessità, l’estensione e l’intensità di un fenomeno senza alcun riferimento alla possibilità della mente umana di comprenderlo, di controllarlo, di dominarlo, di gestirlo, termine che lo rende, infatti, un significato traslato dei concetti pedagogici di educare e allevare.

Fatta, dunque, la necessaria distinzione tra crescita e sviluppo, ne deriva che gli obiettivi della scuola e dei processi formativi devono essere orientati e impostati sulla base di specifici discorsi di ordine pedagogico, legati alla crescita dei soggetti in maniera disinteressata, non allo sviluppo economico. Questa confusione semantica deve essere smascherata perché occorre ritornare ad attribuire a ciascun termine il proprio campo semantico per evitare che anche il concetto pedagogico e spirituale di crescita possa essere pregiudizialmente mutuato dell’economia neoliberista per ammantare di una improbabile missione di elevata spiritualità una immoralità di base.

È chiaro che alla scuola servono più risorse, ma quello che non è chiaro, invece, in questa ubriacatura neoliberista, è il motivo per cui l’attribuzione di più risorse alla scuola debba andare ad incrementare necessariamente lo sviluppo economico, come afferma Bianchi: «È tuttavia proprio in questa fase di così intenso cambiamento strutturale che si corre il rischio di cadere nella “trappola della bassa crescita”, quella sorta di equilibrio perverso per cui, attribuendo poche risorse alla scuola, non si riescono più a garantire quelle competenze e abilità necessarie per accelerare l’economia e quindi disporre nella fase successiva di maggiori risorse per l’educazione»[2].

È proprio da questa confusione semantica e ideologica, all’interno della quale il neoliberismo ci sguazza con l’illusione dell’aggiornamento tecnologico, che bisogna uscire perché più crescita non vuole dire affatto più sviluppo, non vuole dire più modernizzazione, non vuol dire più risorse per la tecnologizzazione. Più crescita vuol dire solo più risorse umane, più risorse agli umani, siano esse materiali o immateriali, per dare corso a processi che siano esclusivamente di ordine educativo e pedagogico.

[1] P. Bianchi, Nello specchio della scuola, il Mulino, Bologna 2020, p. 9.

[2] Ivi, p. 11.


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a cura di Michele Lucivero

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