La scuola è finita…con un immotivato entusiasmo, anche grazie a Valditara

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La scuola è finita, immotivato entusiasmo di Sorrentino
La scuola è finita, immotivato entusiasmo di Sorrentino
La scuola è finita
La scuola è finita

Nel monologo divenuto subito un cult, il premio oscar Paolo Sorrentino, attore nella serie Call my agent trasmessa su Sky, racconta al suo agente di essersi trovato nella necessità di partecipare in veste di nonno all’incontro trimestrale scuola/genitori e di aver vissuto un’esperienza limite, «la cosa più prossima alla morte, perché – continua Sorrentino – puoi trovare, nella scuola, il sentimento più orrendo dell’essere umano: l’entusiasmo immotivato».

Un entusiasmo talmente privo di senso da portare i genitori a pensare che possa essere giusto proporre corsi pomeridiani di batteria o macarena, perché importantissimi per sprigionare la creatività dei bambini. Come se questa tanto sopravvalutata creatività fosse altrimenti frustrata dalle tradizionali attività svolte in aula, cioè le lezioni!

Si tratta di un’eccitazione delirante al punto da rendere credibile a tutti i genitori che uno di loro, solo esibendo come titolo il fatto di aver guardato gare di ciclismo in TV, possa tenere un corso di ciclismo. Ma la stessa euforia ebbra viene poi smorzata improvvisamente dal candido intervento del regista, che fa notare agli astanti: «Guardate, i miei figli ormai sono grandi, però quando erano piccoli andavano semplicemente a scuola e poi il pomeriggio giocavano per i fatti loro. Anche in vacanza sono andati molto di rado, perché io e mia moglie d’estate lavoravamo. E tutto sommato mi sembrano felici ‘sti ragazzi».

Eresia! L’ingenuità somiglia alla saggezza e, infatti, non viene quasi mai compresa: «Hanno fatto scendere su di me un silenzio che si tributa solo agli ergastolani. Un nonno, ex hippy, ha detto, con la mascella serrata: “Delinquente”. E un’altra signora, madre di un figlio unico, mi ha puntato il dito e ha detto: “Assassino!” A quel punto io ho scritto una lettera. A Dio. Gli ho scritto: “Dio occupati tu dell’educazione…dei genitori”».

Il sarcasmo del monologo fa sorgere qualche domanda: c’è davvero qualcosa che non quadra più nel modo in cui i genitori percepiscono la scuola? La considerano bisognosa di supporto? Incapace di soddisfare le loro aspettative? Incerta? Zoppicante? Insufficiente?

Proprio l’altro giorno in piscina, dopo la lezione di nuoto di mia figlia, ho sentito che due mamme si lamentavano della scuola pubblica, dicevano di essere insoddisfatte, ad esempio, perché a pochi giorni dalla fine delle lezioni le maestre si “prendevano il lusso” di partecipare ad un’assemblea sindacale. «È una vergogna, queste maestre non sanno che le mamme lavorano», diceva una, mentre l’altra rincarava la dose: «sì, è vero, e dove li dobbiamo lasciare i bambini se non vanno a scuola? Alla scuola privata queste cose non succedono…».

Ma cosa è diventata la scuola? Cosa dobbiamo fare per appagare ogni tipo di genitore (i cosiddetti stakeholders) e rendere appetibile la scuola pubblica, statale e gratuita? Siamo davvero arrivati/e tutti/e quanti/e al punto, come vuole il capitalismo, che su questo si fonda e prolifera, di mercificare ogni aspetto della realtà? Siamo davvero stati indotti a credere che tutto ciò che è gratuito non vale per il solo fatto di essere gratuito?

Il problema, ci sembra, non è tanto individuabile nella frase banale “la scuola così com’è non basta più”. A noi non sembra che, barattando il suo compito originario e costituzionale, cioè quello che le prescrive di occuparsi della crescita culturale delle future generazioni, con la funzionalità da aggiornare di anno in anno in base alle richieste del mercato, che le richiede costanti upgrade e potenziamenti, si stia seguendo la strada giusta.

Il fatto cruciale è che la scuola – o meglio l’idea di scuola che ci stanno addestrando a pensare, quasi fosse una distopia platonica, luogo in cui studenti e studentesse definitivamente sottratti alle cure asfissianti della famiglia, potranno apprendere un lavoro, sviluppare la propria personalità, superare definitivamente ansie e preoccupazioni – non basta mai. Considerata come luogo totale essa sarà sempre insufficiente. Così come sarà destinata a deludere le aspettative se la si stimerà alla stregua di un altare al quale le famiglie, oramai in endemica difficoltà, continueranno a rivolgere inaudite preghiere o ingiustificati strali.

Di fatto, la scuola pubblica ha assunto da tempo il ruolo di capro espiatorio su cui far ricadere tutte le colpe, i fallimenti e le rovine, di una società sempre più ingiusta, cinica, spietata. Siamo di fronte ad un cortocircuito esistenziale frutto del fatto che, ben al di là di quanto la Scuola potrà mai promettere di realizzare circa il futuro delle giovani generazioni, la vita lavorativa risulta ingabbiata nella precarietà e nella disoccupazione proprio nel medesimo tempo in cui la nostra scintillante società inclusiva prescrive a tutti/e una affannosa, quanto più spesso vana e frustrante, ricerca del successo e della notorietà.

Eppure, va tutto bene, e si continua ingenuamente a credere che basterà ritoccare la Scuola per risolvere ogni male. Del resto, la rivoluzione del merito è già in atto e anche il Ministro Valditara ha mostrato il suo entusiasmo altamente immotivato per il fatto che la sua proposta di far lavorare i docenti come tutor e orientatori, qualificandoli come tali con un corso di appena venti ore e retribuendoli con i soldi a prestito del PNRR per 6/7 euro all’ora, è stata accolta dal 99,8% del totale delle scuole coinvolte. Dal prossimo anno, dunque, afferma gongolando Valditara: «le nuove posizioni includeranno 52.176 tutor e 4.252 docenti orientatori», professionisti/e che tutto faranno, tranne insegnare e per solo 6/7 euro all’ora…

A noi verrebbe da dire: «ben altro di un’assemblea sindacale ci vorrebbe qui!», ma preferiamo parafrasare Sorrentino e rivolgere le nostre preghiere più in alto: «Dio, dopo aver finito con i genitori, per favore occupati dell’Istruzione… del Ministero dell’Istruzione al suo completo!».

Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.


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a cura di Michele Lucivero

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