Scuola pubblica e società (in)civile di Lucivero e Petracca, recensione di Mario De Pasquale

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Scuola pubblica e società (in)civile, Lucivero, Petracca
Scuola pubblica e società (in)civile, Lucivero, Petracca

Il testo Scuola pubblica e società (in)civile di Lucivero e Petracca è il risultato di una osservazione lunga, appassionata e personalissima sui mutamenti avvenuti nella scuola italiana in un arco di tempo di un paio di anni, tra il 2020 e il 2021, periodo storico caratterizzato dalla pandemia.

Gli autori, due docenti di Liceo, elaborano  riflessioni sulle innovazioni introdotte nella scuola e sulle politiche scolastiche degli ultimi anni, mossi dalla convinzione che la scuola sia «uno dei pochi e irrinunciabili baluardi della libertà, dei diritti e dei doveri che informano la costruzione di una società civile, rimasti vitali in un mondo rivoltato dalla pandemia»[1].

Le questioni affrontate sono molte e complesse. Mi permetto di soffermarmi soprattutto sulle osservazioni e sulle analisi che riguardano l’esperienza dell’insegnamento a distanza, attivato nel nostro Paese a causa della tragica pandemia da Covid19, perché le questioni che esso ha posto sono di grande rilevanza per il futuro della scuola e degli studenti.

Nella situazione di emergenza, a causa di condizioni oggettive di difficoltà nello stesso mantenimento del funzionamento della scuola, si è attivata una sperimentazione forzata di “insegnamento a distanza” di massa in un intero Paese, attraverso l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione.  Il lavoro, quindi, si riferisce a temi e problemi di grande interesse e attualissimi.

Gli autori, avveduti e riflessivi, valutano le forme didattiche realizzate nel periodo dell’emergenza come un compimento “forzato” di progetti di innovazione già in parte surrettiziamente introdotti nella scuola e che solo oggi appaiono caratterizzati da superficialità.

Secondo gli autori, negli studi governativi, commissionati dal 2009 in relazione all’applicazione delle tecnologie informatiche alla didattica nella scuola pubblica, regna una totale assenza di serie e documentate valutazioni, dovuta anche alla carenza di un vero e proprio approccio sperimentale. Infatti, non vi è stata una preventiva adeguata valutazione dell’impatto dell’insegnamento a distanza sugli alunni e sulle alunne, sulla relazione educativa basata sulla dimensione virtuale.

La peculiarità della situazione didattica avrebbe richiesto la definizione di precisi obiettivi da conseguire, da monitorare e da valutare attraverso una qualche sperimentazione controllata. Le scelte operate, invece, secondo gli autori, purtroppo, sono state fatte solo sulla base di una necessità o urgenza imposta dal mercato, prima, e dalla pandemia, dopo.

Non vi sono dubbi sul fatto che sull’ambiente online si siano trasferite quote rilevanti delle vite dei giovani. In parte il lavoro, in misura maggiore le relazioni sociali, le transazioni e il diverti-mento si sono insediati in rete e attraggono i soggetti per buona parte del tempo quotidiano. Rimangono, questi spazi, luoghi virtuali “altrove” rispetto alla vita reale o di essa sono già parte?

Gli autori dubitano che con l’ingresso massiccio della tecnologia informatica, e nella forma a distanza, «si possa ancora parlare di scuola come luogo di prossimità, come contesto in cui si realizzano relazioni intersoggettive reali e significative, come struttura di mediazione che veicola questioni di senso, come comunità pensante che interroga la realtà e pone problemi»[2].

La preoccupazione degli autori per l’attivazione di processi didattici validi senza la presenza dei corpi, mi sembra fondata. La permanente partecipazione alla comunicazione reticolare di Internet non sempre garantisce la sostanza di una vera comunicazione, in cui sia possibile governare i processi di conoscenza attivati, né la crescita dell’autonomia di pensiero. La relazione deve avvenire tra persone anche in presenza dei loro corpi e non solo attraverso immagini, opinioni astratte e decontestualizzate, riferite da soggetti, lontani nello spazio e a volte nel tempo, percepibili empaticamente.

Una scuola formativa, inclusiva e interculturale, e non funzionale al mercato, valuta il tempo nella relazione educativa da un punto di vista qualitativo, che consente ai giovani la ricerca esistenziale della propria identità, del senso da dare alle cose e alle esperienze, della lentezza del leggere e della riflessione in comune sul testo, del confrontarsi e del discorrere dialogico. È la strada che si rivela anche più lunga o a volte improduttiva, ma feconda di profondità e di creatività umana, culturale e sociale[3].

Gli autori sottolineano con forza la irrinunciabilità della costruzione di conoscenza a scuola, in comunità nella classe e nello spazio scolastico, ai fini del conseguimento di validi apprendimenti e di una formazione civile. Essi ritengono indispensabile l’insegnamento in presenza e la vita scolastica anche ai fini della ricostruzione di possibilità di partecipazione democratica e consapevole, fuori della scuola, per realizzare una società civile più matura e forme di vita innovative e plurali.

I giovani possono tornare a partecipare alla costruzione del futuro solo se imparano già a scuola a pensare e a discutere, recuperando l’autonomia e il tempo, entro confini regolati come condizione per il confronto con gli altri.

Del resto, come è possibile partecipare a una discussione pubblica, se non si è capaci di conversare e discutere tra pochi, dove si mostra rispetto, tolleranza e interesse verso ciò che gli altri hanno da dire, attenzione al linguaggio del loro corpo e al loro pensiero?

Ascoltare le idee con cui si è in disaccordo, prendere la parola (la Parresia) a turno, dire la propria, criticare, mettersi al posto degli altri, proporre altre idee è fondamentale non solo per la democrazia, ma anche per l’elaborazione autentica e partecipata delle decisioni attinenti al bene di tutti.

[1] M. Lucivero, A. Petracca, Scuola pubblica e società (in)civile, Aracne, Roma 2022, pp. 129-130.

[2] Ivi, p. 102.

[3] Mi permetto di rinviare a M. De Pasquale, Filosofia e città giusta. Fuori dal guscio, Stilo Editrice, Bari 2021, formato ebook.

Dalla Prefazione di Mario De Pasquale al testo M. Lucivero, A. Petracca, Scuola pubblica e società (in)civile, Aracne, Roma 2022.

Mario De Pasquale
Mario De Pasquale

Mario De Pasquale, è stato docente di Filosofia e Storia nei licei e poi Dirigente Scolastico, esperto di didattica e promotore della ‘filosofia per tutti’. Per molti anni coordinatore della Commissione Didattica Nazionale della SFI. Co-direttore editoriale della rivista «Comunicazione Filosofica», rivista online della SFI, vice-direttore della rivista online «Logoi.Ph». Autore di numerosi saggi pubblicati su riviste italiane e straniere e in volumi collettanei, tra le sue ultime pubblicazioni: Confilosofare in città (Stilo 2014); Giovani e filosofia. Addio a Narciso (Stilo 2021).


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a cura di Michele Lucivero

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