di Valeria Mazzai e Nicolò Vedovi
Nella maggior parte d’Italia, a causa dell’emergenza pandemica, le scuole dell’infanzia e la primaria sono chiuse da alcune settimane e obbligate a svolgere qualsiasi attività legata alla relazione tra insegnante e studenti in modalità a distanza. Molte cose possono colpire relativamente alla distorsione della realtà scolastica che ha preso forma in questa situazione pandemica, tra queste balza all’occhio la questione, forse a prima vista banale, dei “lavoretti pasquali”.
Per tradizione o per senso comune l’anno scolastico viene scandito da molti insegnanti dalla preparazione e dal confezionamento di lavoretti, che possono essere, talvolta, ecosostenibili, cooperativi, a basso costo e creativi, ma a nostro avviso occorre fermarsi un passo prima e porsi una domanda fondamentale: perché proporre i lavoretti solo in alcuni momenti specifici dell’anno? Che senso ha vincolare dei bambini a realizzare un oggetto uguale per tutti?
Questa domanda può assumere sfumature diverse se a porsela è un insegnante o un genitore.
La risposta immediata dal punto di vista dell’insegnante potrebbe essere riposta nel rispetto di una tradizione radicata, nell’abitudine di una scuola che, da una parte, vede la celebrazione comunitaria e condivisa di una festività legata al mondo cristiano cattolico e, dall’altra, la possibilità di permettere ai bambini e alle bambine di svolgere attività manuali. Ma sono solo queste le occasioni in cui è possibile svolgere attività manuali? È davvero sensato far produrre questi oggetti ai bambini?
È necessario, a nostro avviso, modificare i modelli di riferimento tradizionali, che spesso si fondano su pratiche che non trovano alcuna giustificazione pedagogica, ma che vengono perpetuate per pigrizia o incoscienza. Questa perpetuazione forzata si è mostrata nella sua nudità durante la Didattica a Distanza.
In realtà, se l’obiettivo didattico è favorire la manualità fine, il coordinamento oculo-manuale e la concentrazione, è sempre possibile, come sostiene il pedagogista Roberto Pittarello[1], programmare per tutta la durata dell’anno scolastico, e non solo in occasione di alcune festività, attività inserite in un percorso di senso più ampio, che vadano ad allenare determinate capacità nei bambini.
Alla scuola dell’infanzia l’organizzazione di un ambiente a misura di bambino, che metta a disposizione materiali diversi tra loro, inizialmente con l’accompagnamento dell’insegnante sulle modalità d’utilizzo, permette ai bambini e alle bambine di coltivare la propria creatività: sono competenti, lasciamoli provare, fidiamoci delle loro capacità e risorse.
Per la scuola primaria esistono percorsi che con materiali semplici mettono in relazione l’apprendimento classico con i laboratori manuali: dalle piegature di figure geometriche, alla costruzione di solidi e all’utilizzo di strumentazione comune per misurare superfici, lunghezze, capacità, pesi, tutto potrebbe essere finalizzato allo sviluppo di specifiche competenze nei bambini, come testimoniano Daniela Lucangeli ed altri esperti[2].
E il genitore che ruolo può avere? Cosa può fare un genitore con i propri figli e le proprie figlie?
Non si può nascondere la soddisfazione della famiglia nel ricevere un manufatto, un dono che possa rappresentare l’affetto verso i genitori. Ma perché non riporre questa soddisfazione in ogni manufatto spontaneo che i bambini possono creare? Un dono è sempre autentico, ritenuto al contempo idoneo e onesto, a prescindere da ricorrenze programmate.
Un secondo aspetto riguarda senza dubbio il dialogo tra scuola e famiglia. Il lavoretto potrebbe apparire come il risultato di una parte delle attività didattiche e rappresentare simbolicamente una parte del mondo scolastico che si incontra con il mondo della casa. Perché non immaginare e realizzare, allora, una condivisione profonda del percorso che superi questa rappresentazione limitata, ma spesso idealizzata?
È necessario cambiare il rapporto dialogico tra famiglia e scuola, rovesciando il paradigma, rendendolo più fluido e dinamico e alimentando questa condivisione con un’apertura anche narrativa delle pratiche quotidiane alle famiglie. È il tempo che la scuola e le famiglie convergano, gli insegnanti, educatori per scelta, hanno il compito di alimentare questa apertura, superando assurde pretese di ruoli riconosciuti e di autorevolezze scontate, per il rinnovo di un’alleanza civile che aiuti veramente i nostri bambini e le nostre bambine.
Nella pratica è possibile da una parte calendarizzare colloqui a breve distanza tra loro che vadano a costruire il dialogo, che può crescere solo se alimentato dalla reciproca e reale conoscenza e dall’altra, come avviene già nelle scuole che credono in questo tipo di percorso, utilizzare cloud condivisi dove gli insegnanti possano mostrare con fotografie e video alcune delle attività svolte a scuola. L’unico modo per capire l’altro è conoscerlo, e la conoscenza presuppone un percorso e un investimento di energie.
In definitiva l’intento non è demonizzare il lavoretto in quanto tale, ma cercare di sottolineare quanto un manufatto, artificiale per definizione, con motivazioni estrinseche rispetto al sentire del bambino e della bambina possa essere sostituito da attività sicuramente più autentiche, che valorizzino il percorso quotidiano ed individuale di ogni individuo. In questo modo verrà ancora più naturale apprezzare i doni dei bambini nella semplicità delle loro azioni, nel percorso che hanno svolto, dando finalmente la giusta importanza al processo creativo[3].
[1] R. Pittarello, Il mio primo laboratorio creativo, La Scuola del Fare, Treviso, 2009.
[2] M. Perona, E. Pellizzari, D. Lucangeli, Geometria con la carta, vol.1, Erickson, Trento, 2010; Id., Geometria con la carta, vol.2, Erickson, Trento, 2011; Id., Geometria con la carta, vol. 3, Erickson, Trento, 2013.
[3] L.S. Vygotsky, Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori Riuniti Univ. Press, Roma, 2011.
Valeria Mazzai, insegnante veronese di scuola dell’infanzia. Laureata in scienze della Formazione Primaria con specializzazione in sostegno didattico per gli alunni con disabilità presso l’Università di Padova, specializzanda nel corso metodo Montessori ONM 3-6 anni, appassionata di letteratura per l’infanzia.
Nicolò Vedovi, insegnante di scuola primaria di Verona, dopo la laurea in Storia all’Università di Padova, si dedica all’educazione democratica e ai percorsi di educazione parentale. È alla costante ricerca di nuovi punti di vista pedagogici ed educativi per cambiare la scuola.
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a cura di Michele Lucivero
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