“Io, trasformato in bersaglio“, dice lo scrittore Antonio Scurati dopo essere stato censurato dai vertici Rai, prima che pronunciasse un monologo al programma Chesarà…, in onda su Rai 3, al quale era stato invitato prima del “passo indietro” del servizio pubblico.
Un’azione censoria ascritta all’attuale governo di centro destra e che ha provocato – come molti di voi avranno letto – una segnata reazione dell’Usigrai, il sindacato del servizio pubblico che in un comunicato ha usato fermi e duri toni di condanna circa le ingerenze, sempre più invasive da parte della politica.
La prima uscita pubblica dello scrittore censurato si è registrata nella sua Napoli: Antonio Scurati è infatti intervenuto a Palazzo Reale per la domenica di chiusura di Repubblica delle Idee. E proprio dal quotidiano nazionale riportiamo alcuni stralci del suo intervento.
Prima, ha dato lettura del monologo che avrebbe dovuto portare su Rai3, poi si è concesso alle domande del direttore, Maurizio Molinari.
“La prima domanda di Molinari va subito al sodo: «Come ha vissuto la giornata di ieri?». Risposta autentica: «Male. Al netto di una piccola vertigine narcisistica momentanea. È duro, è faticoso, è doloroso». Poi arriva al dunque, all’attacco e al post di Giorgia Meloni che ironizzava sul suo compenso Rai: «Sono un privato cittadino che fa il professore, un padre di famiglia che scrive libri e vengo dipinto come un profittatore, un estorsore, un malfattore… Ma il problema è che a dipingermi così non è una persona qualunque ma il capo del Governo, attraverso un attacco denigratorio a un privato cittadino che fa di mestiere l’intellettuale. Mi sento da solo contro un moloch che è il Governo. Si è perso il senso della democrazia».
Il timore di fare la vittima, per chi come Scurati è abituato a giocare all’attacco evidentemente c’è. Più volte durante l’incontro ripete di non voler cadere in atteggiamento vittimario: «Non ho mai gridato al lupo stanno tornando i fascisti e i nazisti, perché ho studiato abbastanza il fascismo storico di cento anni fa per non fare previsioni così estremistiche e avventate».
«Ha avuto paura?», gli chiede Molinari. Scurati scuote la testa, tentenna un po’, poi confessa il suo stato d’animo e le ansie degli ultimi mesi: «Nel seguito di Giorgia Meloni, vista anche la storia da cui proviene, c’è sicuramente qualche individuo non estraneo alla violenza, come accade anche nella masse anonime, oscure. Quando il capo punta il dito contro il nemico e i giornasquadristi fiancheggiatori del Governo ti mettono sulle prime pagine con il titolo “Scurati uomo di M.”, ti stanno disegnando un bersaglio intorno alla faccia. Poi magari qualcuno che mira a quel bersaglio c’è». Fa intendere che nel recente passato ha ricevuto minacce e che è preoccupato: «Non voglio entrare nei dettagli ma arriva una mattina che esci di casa e guardi a destra e a sinistra. Basta questo e la tua vita è già cambiata».
Il valore dell’antifascismo è il punto focale dell’impegno civile di questo scrittore che da anni ha ingaggiato un corpo a corpo con la storia del Ventennio attraverso i suoi romanzi dedicati a Mussolini (il quarto arriverà in autunno) e un saggio intitolato Fascismo e populismo. Mussolini oggi.
La parola “antifascismo” è secondo Scurati un tabù per la destra post- fascista: «Sono uno degli ultimi ragazzi del secolo scorso, appartengo all’ultima generazione che ha ricevuto un’educazione e una formazione antifascista». Tra il pubblico ci sono persone di tutte le età, molti ragazzi, l’attenzione è massima.
Scurati mescola la cronaca con considerazioni ampie, la questione non è personale ma culturale, politica. Parla del dispositivo del populismo, del quale Mussolini è stato l’inventore, e del bisogno di un nemico da additare. Spiega che il meccanismo è quello banale della semplificazione, della riduzione della complessità a slogan per mettere in moto la grande macchina della paura, quella che deve portare a sé il popolo, sedurlo. È la tecnica dei nuovi sovranisti, «non è esclusivamente un problema italiano». Le democrazie devono essere vigili, «non fare l’errore di pensare che il rischio sia domani».
«Dobbiamo guardarci a fianco, a volte dietro. Gli avversari della democrazia liberale, della democrazia compiuta e matura, sono già qui, in alcuni Paesi già governano. I nemici o gli avversari della democrazia liberale non marciano su Roma, ci arrivano vincendo le elezioni. Poi erodono le basi della democrazia con le riforme, a volte censurando qui o lì, ma magari attraverso una riforma costituzionale. Però noi progressisti non dobbiamo avere paura, perché la paura è la passione politica della destra sovranista».
La tecnica dei populisti è far apparire la democrazia parlamentare come «superata, inetta, vecchia, corrotta », cancellare la speranza. E invece «è proprio la speranza l’antidoto all’odio, la parola di ogni progressista».
Grande finale sul futuro, il pubblico saluta con un ultimo calorosissimo applauso. Sul palco sale il premio Nobel Giorgio Parisi, protagonista dell’incontro successivo, una lectio sull’intelligenza artificiale. I due si incrociano, la solidarietà di Parisi è immediata: «Quanto accaduto dimostra che questo governo, come tanti altri, ha una concezione del servizio pubblico come servizio personale. Bisogna evitare situazioni in cui la tv pubblica è al servizio del governo».
Fonte: La Repubblica