Scusi, c’è un medico? La risposta non sia sempre no. Il Servizio Sanitario Nazionale è in sofferenza, e non da oggi. Tra i vari problemi, c’è anche la carenza di medici e personale sanitario.
Purtroppo, negli ultimi vent’anni alla questione è stata dedicata marginale attenzione.
I posti in specializzazione e per il corso di formazione in medicina generale sono stati banditi in numero tanto esiguo da incentivare l’esodo dei medici all’estero e alimentare il problema dell’imbuto formativo (medici laureati ma che non potevano accedere al mondo del lavoro non avendo una specializzazione).
La politica di austerity (con la chiusura di numerose strutture sanitarie, ospedaliere e no) e il blocco del turn over hanno comportato un aumento del carico di lavoro dei sanitari, e i rinnovi contrattuali succedutisi hanno di fatto ridotto il potere di acquisto dei salari dei medici.
Si aggiungano le massacranti condizioni di lavoro e compensi riconosciuti in misura largamente inferiore a quello dei colleghi stranieri, in particolare europei, in considerazione della quantità e della qualità del lavoro prestato.
La professione medica, tra le più affascinanti e bisognosa di passione ed entusiasmo, non attrae più. I concorsi affollati per pochi posti a disposizione sono ormai un ricordo lontano; oggi restano spesso deserti e in molti casi il numero dei candidati è inferiore a quello di posti messi a bando.
Le maggiori carenze si verificano principalmente nelle aree a più alto rischio di burn-out come il pronto soccorso, la rianimazione, l’emergenza urgenza. Settori in cui i turni e il carico sono divenuti insostenibili, il numero di operatori è sempre più esiguo e il rapporto retribuzione/quantità-qualità del lavoro prestato sempre meno vantaggioso per i professionisti, che trovano maggiore soddisfazione all’estero, o, al meglio, nel nord Italia o in altri reparti.
La situazione calabrese è una delle più difficili del panorama nazionale. Disperato si è rivelato il tentativo di aggirare la problematica con il reclutamento di 500 medici cubani; scelta che tanto ha fatto discutere a livello domestico e internazionale, anche per i costi sostenuti, per certo più alti di quelli che sarebbe stato necessario affrontare per medici italiani in applicazione del CCNL in vigore.
La ANAO, sindacato dei medici dipendenti, denuncia il rifiuto opposto dalla Università di Catanzaro dei nulla osta necessari, che avrebbe privato i medici calabresi della possibilità di applicare il famoso decreto Calabria (d.l. n. 145 del 2018) e iniziare a lavorare con contratto a tempo determinato con le ASL calabresi. Il provvedimento consente, infatti, ai medici in formazione specialistica di partecipare ai concorsi e ottenere un contratto a tempo determinato già durante il periodo di formazione (contratto che si trasformerà automaticamente a tempo indeterminato alla conclusione del percorso formativo).
A ogni modo, la soluzione della Regione rischia effettivamente di rappresentare un precedente in grado di incentivare l’esodo dei professionisti sanitari all’estero, pone dubbi in merito alla tassazione applicabile e quindi al relativo gettito fiscale generato a favore dell’erario, propone l’erogazione di redditi che verranno presumibilmente spesi all’estero con benefici economici sul territorio italiano irrisori, e comporta un aumento della spesa per il welfare.
Puntare su figure professionali qualificate, specie in ambito medico, è al centro di ogni strategia nazionale che guardi al benessere condiviso. Si comprende, quindi, perché Paesi come Inghilterra, Francia e Germania cerchino di trattenere i medici formatisi sul proprio territorio e di attrarre quelli stranieri, offrendo condizioni di lavoro vantaggiose sia sotto il profilo remunerativo che del carico di lavoro.
Le croniche difficoltà organizzative del Servizio Sanitario Nazionale e una politica poco attenta al problema non consentono, invece, di creare un ambiente realmente attrattivo e soddisfacente per i tanti medici che, sempre in Italia, investono nella propria formazione.
Fondamentale è un aumento del numero di posti a disposizione per le Facoltà di Medicina e Chirurgia, con attenta pianificazione del fabbisogno grazie ai dati forniti dall’ENPAM, ente previdenziale dei medici.
Ma, non trattandosi soltanto di numeri disponibili, occorrerebbe anche puntare al miglioramento delle condizioni lavorative, tra l’altro mediante:
– la riduzione del numero di ore di lavoro a carico dei medici che affrontano compiti a elevato livello di tensione, che siano sottoposti a turni altamente stressanti (come operatori di pronto soccorso, anestesisti rianimatori e personale dei reparti di rianimazione);
– l’aumento dei giorni di ferie e ristoro psicofisico per tutti quegli operatori che si siano trovati in concreto a dover affrontare situazioni particolarmente stressanti e impegnative (appare opportuno valorizzare l’attività in fatto svolta da chi abbia operato in condizioni particolarmente impegnative rispetto a chi, pur avendo svolto con serietà il proprio lavoro e a parità di mansioni, per interi turni non abbia incontrato problematiche che abbiano richiesto impegno fuori dall’ordinario);
– un adeguamento salariale, con lo scopo di rendere maggiormente attrattivi i posti messi a concorso sia per i medici stranieri che per i medici italiani e di dar valore al merito, atteso che i costi sopportati in sanità non sono mai voci di spesa ma investimenti in qualità;
– la riduzione del carico burocratico per medici e personale sanitario (sia attraverso la riduzione di formalità inutili, sia attraverso l’assunzione di personale amministrativo che possa supportare gli operatori sanitari tutti).
Servirebbe anche introdurre la possibilità di autocertificare la frequenza del terzo anno di specializzazione, senza necessità di rilascio di nulla osta da parte delle Facoltà o, in subordine, la indicazione di un termine perentorio per le Facoltà per il rilascio di tale documentazione, pena il risarcimento del danno da quantificarsi quantomeno in un anno di compenso ed automatica segnalazione alla Procura della Corte dei Conti.
I problemi del SSN e dei diversi Sistemi sanitari regionali devono essere affrontati con coraggio, determinazione e lungimiranza e non possono essere rimessi ad estemporanee soluzioni emergenziali offensive dell’impegno di quanti lavorano tutti i giorni per la tutela della salute dei cittadini all’interno delle strutture pubbliche.