Caro direttore,
da anni, di tanto in tanto, mi ponevo la domanda di dove l’umanità stesse correndo e se, soprattutto, avesse contezza dell’irrefrenabile ansia che accompagnava questa corsa e dell’insensatezza di certi obiettivi che la società consumistica ha inculcato ai più. Percepivo, coglievo, respiravo, come in lontananza ma in avvicinamento, una forte presenza che si sarebbe imposta contro la pazza e incontrollata frenesia del genere umano.
Non sapevo come questo “freno a mano immaginario” si sarebbe presentato ma ero certa che qualcosa si sarebbe presentato nel nostro presente per imporci quello stop che la ragionevolezza umana non ha saputo o voluto darsi.
Vicina alle tematiche ambientali, in quanto solo dalla e nella terra ci sono le risorse per la vita, ritenevo che i cambiamenti climatici oramai così presenti e incontestabili avrebbero risvegliato lo spirito critico delle persone e poste di fronte alla domanda “Ma cosa stiamo facendo al nostro pianeta e a noi stessi? Quanto possiamo possa reggere un’umanità che già ad agosto, da qualche anno a questa parte, ha consumato le risorse che le dovrebbero bastare per nutrirsi e vivere fino a dicembre?”.
L’industrializzazione selvaggia, il profitto ad ogni costo; l’aver ridotto la persona ad oggetto in ogni ambito lavorativo; l’apparenza come stile di vita personale e di molti personaggi pubblici e politici. La scarsa, quasi nulla, partecipazione della cittadinanza alle scelte comuni, alla difesa dei diritti basilari propri di una società civile: salute, lavoro, equità. Da qualche parte nelle mie agendine è scritto il nome di quel politico, che di fronte alla mia osservazione sulla contrarietà delle grandi opere in Veneto in quanto ogni campo cementato è terreno sottratto all’agricoltura e alla sussistenza dei cittadini, mi rispondeva beffardo “Signora mia ma dove vive? Sarà la Cina a produrre il cibo per i veneti”. Dov’è ora costui e tutti coloro che aveva al seguìto?
Però, amaramente, temo che manco ora comprenderebbero il loro stolto agire. Di fatto il presente non è roseo e l’unico incolpevole ma determinante nel tirare il freno a mano di questa società impazzita ed egoista è un’invisibile virus; lui ha attuato la globalizzazione spezzando confini politici e frantumando fantomatici muri ricoperti da filo spinato; lui, invisibile se non in un laboratorio, ci sta di fronte e ci guarda negli occhi tutti i giorni e ci toglie sonno e fiato. Ma se crediamo che il colpevole, l’unico colpevole di questa pandemia, sia lui, allora come persone abbiamo perso e svenduto la dignità e l’intelligenza di saper fare ed essere coscienza critica.
Irma Lovato Serena
Posina