Il sistema economico italiano, e ancor più quello veneto, è caratterizzato da realtà imprenditoriali di modeste dimensioni. Troppo spesso queste PMI risultano sottocapitalizzate, ovvero ricorrono al credito bancario in misura eccessiva. Finché il contesto economico rimane pacifico e l’impresa riesce a dimostrare una buona redditività, l’indebitamento non risulta un problema. Tuttavia se uno dei due presupposti viene a mancare, l’azienda può trovarsi in seria difficoltà. Senza entrare troppo nel dettaglio, si crea un circolo vizioso che può concludersi con l’impossibilità da parte dell’impresa di ripagare i propri debiti.
Se la legislazione della crisi d’impresa in vigore nel secolo scorso si basava su una concezione totalmente punitiva dell’imprenditore insolvente e una visione del fallimento come mera liquidazione, le riforme e modifiche introdotte negli anni hanno portato ad un sistema maggiormente orientato alla gestione preventiva della crisi d’azienda e alla conservazione dell’attività, introducendo ad esempio i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione.
Il modello dal quale si è preso spunto è quello anglosassone e soprattutto statunitense, del quale citiamo il noto Chapter Eleven, che permette alle imprese che vi fanno ricorso di procedere ad una ristrutturazione del debito a seguito di un grave dissesto finanziario.
Nonostante la varietà di soluzioni a cui ora si può tentare di accedere prima che sia troppo tardi, sono ancora numerosi i fattori di criticità a cui bisogna prestare attenzione. Un esempio sono le segnalazioni alla Centrale dei Rischi di Banca d’Italia, un sistema che registra gli avvenimenti negativi che intercorrono nel rapporto tra l’azienda e le banche o le società finanziarie (intermediari): se l’imprenditore o la direzione aziendale non hanno provveduto a rispettare i debiti con le banche, questo verrà evidenziato dalle segnalazioni alla Centrale dei rischi e nel momento di richiedere un nuovo finanziamento queste giocheranno un ruolo “ostruzionistico” per la concessione del credito.
Tra l’altro vengono segnalate anche le criticità che l’azienda incontra anche se le sta gestendo per uscire da un periodo di crisi. Quindi, se un istituto di credito procede alla ristrutturazione di un debito a cui l’impresa non riusciva a far fronte, questo avvenimento viene segnalato tramite la centrale rischi a tutti gli altri istituti. Si tratta di un campanello d’allarme che tipicamente spinge o costringe le altre banche che finanziano l’azienda a rinegoziare i termini dei prestiti in essere, per il timore che l’impresa non riesca in futuro a ripagare la totalità del debito, o addirittura a chiederne il rientro con effetti facilmente immaginabili.
Da notare che nelle segnalazioni vengono indicati non solo l’imprenditore ma anche gli eventuali garanti con effetti negativi anche sul loro profilo bancario. Queste segnalazioni rimangono visibili agli intermediari per 36 mesi, quindi significa che per 3 anni sarà molto improbabile riuscire a mantenere o, peggio ancora, a farsi erogare finanziamenti e solo dopo tre anni, se chi è coinvolto esce dalla situazione difficile, si può ricreare per il soggetto una sorta di verginità bancaria.
Bisogna, tra l’altro, ricordare che a seguito delle recenti crisi sono state introdotte delle direttive europee che impongono dei rigidi requisiti di capitalizzazione delle banche, con lo scopo di garantire maggiore solidità al sistema bancario attraverso un’accorta valutazione del rischio sui prestiti. In pratica, quando concede un finanziamento, l’istituto di credito deve provvedere ad accantonare una somma di capitale commisurata al rischio dell’operazione. Questo capitale “parcheggiato” non produce alcun rendimento; in questo modo si disincentiva la concessione di credito a soggetti a rischio.
Quindi, quando la banca valuta se concedere un finanziamento, deve tenere in considerazione non solo la probabilità che il debitore riesca a ripagare, ma anche la quantità di risorse che deve accantonare e che quindi non potrà investire in altre attività più profittevoli. Per questo motivo nel corso degli anni recenti si è notata una maggiore difficoltà da parte delle piccole aziende, ritenute meno stabili, ad accedere al credito bancario anche se la BCE ha immesso con meccanismi come il Quantitative Easing, ora rispolverato e potenziato da Christine Lagarde per rispondere al dramma finanziario del Covid, quantità enormi di liquidità nel mercato teoricamente a vantaggio dei clienti delle banche, di fatto spesso utilizzata dal sistema solo per comprare debito pubblico.
Insomma, se un imprenditore con un passato affidabile documentato dall’assenza di segnalazioni alla Centrale dei Rischi fatica oggi a richiedere finanziamenti a costi contenuti, un soggetto su cui grava una segnalazione negativa risulta di fatto escluso dal sistema creditizio. Un’impresa può quindi ricorrere a ristrutturazioni e a operazioni di saldo e stralcio per evitare il fallimento, ora, ma queste mosse, ove accettate dalle controparti, potrebbero precluderle l’accesso al finanziamento bancario per i 3 anni futuri. Non è una condanna immediata ma quasi un accompagnamento all’agonia visto che è noto come le PMI non riescano tipicamente ad accedere a fonti di capitale di terzi diverse dal canale bancario.
Si può quindi concludere che se alcune riforme legislative hanno promosso un processo di innovazione che meglio si adatta ai mutamenti del contesto economico, altre, in maniera indiretta, annullano di fatto questi passi in avanti, ponendo dei vincoli a cui spesso non si trova una soluzione.
Tutto questo senza tener conto di altri aspetti dilanianti per le società, per i loro garanti ma anche per le singole persone fisiche che abbiano intrattenuto rapporti zoppicanti con le banche e che, peggio, abbiamo sottoscritto titoli di debito come fidejussioni, assegni e cambiali non andati a buon fine, che rimangono come un marchio indelebile sul loro futuro perché se la Centrale Rischi “vive” per tre anni, le banche dati delle singole banche ad oggi non hanno limiti temporali di conservazione eliminando di fatto ogni insorgente diritto alla privacy e precludendo un possibile diritto all’oblio bancario.
Se negli Usa e in altri Paesi esistono possibilità di “rientro” da questo inferno in Italia questo non è possibile, come vedremo in successici approfondimenti sul tema, e chi ha bisogno di credito, ovviamente su basi credibili, deve prima rivolgersi a finanziarie che praticano tassi usurai o para usurai per, poi, spesso, finire proprio tra le braccia stritolanti di chi l’usura la pratica totalmente all’esterno di un qualunque perimetro di legalità.
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