L’udienza del 23 settembre al processo Banca Popolare di Vicenza è stata posticipata a causa dell’allarme antincendio del tribunale di Borgo Berga andato in tilt. Ma in tilt erano anche i controlli all’interno della banca guidata da Gianni Zonin, come ha cercato di dimostrare Ferdinando Parente, che per 25 anni ha lavorato in Banca d’Italia nella sede di Milano, consulente tecnico chiamato oggi dalla difesa di Massimiliano Pellegrini, ex responsabile della Divisione bilancio.
Al centro della perizia la rendicontazione dei compiti di un dirigente preposto all’interno della Bpvi, dove 70 persone formavano la struttura di controllo per i 5mila dipendenti, oltre agli ingenti investimenti sui sistemi informativi di cui il gruppo si è dotato nel tempo. “Una struttura da cinema“, l’ha definita Parente che doveva essere adeguata al controllo dei rischi, ma il risultato è che “o non controllavano o c’è qualcosa che ci sfugge“.
Un modello accentrato descritto dal consulente: “c’era una struttura verticistica molto gerarchizzata e suddivisa in divisioni che riportano direttamente al vertice. Le divisioni non interagivano tra loro e si dedicavano alle rispettive attività, con il direttore generale che era il capo della macchina operativa e rapportava al cda“. Pellegrini poi coordinava una attività che è stata esternalizzata dalla banca: “ha delegato a società di consulenza esterna alcuni processi ritenuti sensibili tra cui credito, finanza, bilancio e la vigilanza“.
L’aspetto più rilevante era il dato anomalo sul fondo azioni proprie, che il comitato di controllo e il collegio sindacale avrebbero dovuto segnalare. Nella struttura Bpvi “di procedure per rilevare i rischi non c’era nemmeno l’ombra“, afferma Parente il quale individua come area di competenza l’ufficio soci. Ad esempio quando Pellegrini si è trovato di fronte l’investimento nei fondi “si faceva domande solo dal punto di vista contabile, secondo la procedura richiesta dall’obbligo normativo”.
Poi Parente cita la vicenda del crac finanziario nel 1982 del Banco Ambrosiano guidato da Roberto Calvi: “è la stessa storia, con i tuoi soldi di compri il tuo patrimonio. Quando ci si trova con l’acqua alla gola si ricorre a questi mezzi“. Un metodo che si fa con “accrocchi in excel, ancora oggi le banche non si sono dotate di una procedura, saremmo contenti se Bce ne pubblicasse una chiara“.
Ma possibile che Pellegrini non si fosse accorto di nulla? “L’audit non ha mai fatto emergere nulla – conclude – lui dagli storni non poteva capire qualcosa, non era un dato che poteva suscitare allarme“.
Ora ci penserà l’allarme… del tribunale a “risvegliare” tutti?
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