Separazione delle carriere dei magistrati, avv. prof. Rodolfo Bettiol: la piena terzietà del Giudice la esige

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Terzietà del giudice a rischio senza separazione delle carriere dei magistrati
Terzietà del giudice a rischio senza separazione delle carriere dei magistrati

Ai sensi dell’art. 111 della Costituzione ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al Giudice terzo ed imparziale. Terzietà e imparzialità non costituiscono una endiadi (figura retorica con cui si esprime un concetto per mezzo di due sostantivi coordinati): la terzietà sta a significare l’indipendenza del Giudice, l’imparzialità la non prevenzione del Giudice nei confronti delle parti.

Nell’attuale ordinamento giudiziario che prevede una carriera unica per i giudici ed i magistrati del Pubblico Ministero, la terzietà del Giudice non è pienamente assicurata. Lo stesso, infatti, è un collega del Pubblico Ministero, ma vi è di più.

In sede di consiglio Giudiziario e di Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) il Pubblico Ministero è chiamato alla valutazione del Giudice ai fini del trasferimento o della prosecuzione di carriera.

La piena terzietà del Giudice esige dunque una carriera separata per i Giudici e per i Pubblici Ministeri e soprattutto due consigli superiori della Magistratura: uno per i Magistrati inquirenti l’altro per i Magistrati Giudicanti.

Nella sostanza la separazione delle carriere, affermando la terzietà del Giudice, viene a porre una garanzia dell’imparzialità dello stesso.

Vi è opposizione all’istituzione della separazione delle carriere.

Si ritiene da parte della Magistratura che verrebbe meno la cultura della giurisdizione e si aprirebbe la strada alla sottoposizione del Pubblico Ministero al potere esecutivo.

In realtà una cosa è investigare e sollevare un’accusa, altra è giudicare. La ricerca della prova è cosa diversa dal giudizio sulle stesse. La separazione delle carriere viene ad imporre una professionalità investigativa del Pubblico Ministero, che non significa fare dello stesso un accanito superpoliziotto.

Non vi è alcun automatismo di arrivare con la separazione delle carriere ad un Pubblico Ministero posto alle dipendenze del potere esecutivo. Il progetto di legge costituzionale in Parlamento espressamente afferma l’indipendenza del Pubblico Ministero.

Sotto un profilo logico dunque la separazione delle carriere è una conseguenza del principio del giusto processo.

Una qualche perplessità sorge sul meccanismo del sorteggio per la nomina di chi è componente dei consigli superiori.

La norma è indirizzata ad evitare lo strapotere delle correnti.

Il rischio, però, è quello di delegare soggetti non qualificati.

Positiva è l’istituzione nel progetto governativo della istituzione di una Corte di Giustizia per i provvedimenti disciplinari.

Ciò potrebbe portare ad una giusta severità per gli illeciti disciplinari, severità che in diversi casi è mancata nei provvedimenti innanzi all’attuale Consiglio Superiore della Magistratura.

In astratto dunque il progetto legislativo è accettabile.

Occorre però non farsi illusioni.

Non bastano le norme per una effettiva modifica della realtà, occorre ancora una diversa predisposizione culturale.

Non vi è nessuna garanzia che i giudici non sentano comunque un rapporto di para colleganza con i Pubblici Ministeri e siano portati a valorizzare maggiormente le valutazioni di questi ultimi rispetto a quanto affermato dagli avvocati.

La carenza di uomini e mezzi non porterà ad una Giustizia celebrata in termini ragionevoli e darà ragione di attività collaborative tra i magistrati delle due carriere separate.


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