Ai sensi dell’art. 111 della Costituzione il processo deve svolgersi innanzi ad un Giudice terzo ed imparziale. Terzietà ed imparzialità sono state spesso intese come un’endiade.
In realtà si tratta di concetti diversi.
La terzietà va intesa come indipendenza del giudice delle parti, l’imparzialità come non prevenzione.
E’ in riferimento in particolare alla terzietà che si pone nel processo penale il tema della separazione delle carriere del Pubblico Ministero e del Giudice.
L’indipendenza delle parti comporta che in nessun modo una parte possa influire sull’altra, mettendo così in discussione la stessa imparzialità.
Orbene, l’attuale unicità delle carriere comporta aspetti critici in materia di terzietà. Vero è, infatti, che il Giudice negli aspetti della progressione in carriera e nell’aspetto disciplinare nell’ambito in particolare del Consiglio Superiore della Magistratura è soggetto al giudizio di una parte: il collega Pubblico Ministero membro del Consiglio stesso.
Sotto questo profilo la terzietà non è garantita.
Nei fatti, poi, sussiste un’esposizione mediatica prevalente del Pubblico Ministero tale da poter condizionare l’esercizio imparziale delle funzioni giurisdizionale.
Per vero i giudicanti si mostrano in genere autonomi nelle loro decisioni rispetto alle richieste del Pubblico Ministero, ma tutto ciò non significa che non esista l’esigenza di garanzia istituzionale data appunto dalla separazione delle carriere.
Da parte della Magistratura si obbietta come la separazione porterebbe il Pubblico Ministero ad allontanarsi dalla cultura della giurisdizione trasformandola in un super poliziotto.
L’argomentazione è priva di fondamento.
Chiunque operi nell’ambito del processo penale, sia un componente della Polizia Giudiziaria, sia un avvocato, deve porsi nella prospettiva del giudizio del giudicante.
Vero è, al contrario, che occorre che il Pubblico Ministero abbia la cultura della investigazione, sappia cioè svolgere utilmente le indagini al termine delle quali presenti elementi probatori fondanti la responsabilità dell’imputato o, al contrario, chieda l’archiviazione evitando processi inutili con spreco di risorse per lo Stato e sofferenze per gli innocenti. Ricordiamo che almeno il 40% dei processi si conclude con l’assoluzione degli imputati.
Altra obiezione che viene posta è che la separazione delle carriere porterebbe ad una soggezione del Pubblico Ministero al potere esecutivo.
Il discorso qui esige una precisazione. La soggezione del Pubblico Ministero all’Esecutivo esiste in realtà in molti paesi democratici. Non è abnorme che direttive in politica giudiziaria vengano date dal Potere Politico.
In Italia, peraltro, un rapporto di dipendenza dell’inquirente rispetto all’Esecutivo non sarebbe auspicabile, come neppure sarebbe auspicabile un Pubblico Ministero elettivo.
Non siamo in larga misura un paese di gente perbene.
La dipendenza dall’Esecutivo potrebbe comportare azioni penali ingiuste o archiviazioni altrettanto ingiuste.
Un Pubblico Ministero elettivo oltretutto potrebbe essere il Pubblico Ministero della mafia.
Occorre che la legge di separazione detti a chiare lettere l’indipendenza della magistratura inquirente.
Una volta che ciò venga fatto non sorge il problema che viene evidenziato.
Il codice di procedura penale del 1989 e la riforma dell’art. 111 della Costituzione hanno dato vita ad un processo di parti.
Occorre garantire l’autonomia delle parti innanzi ad un Giudice che sia terzo rispetto alle prospettazioni di accusa e difesa. La separazione delle carriere è la logica conseguenza del processo accusatorio, la garanzia istituzionale della terzietà del giudice, e, conseguentemente della sua imparzialità.