Sepolcri imbiancati, la complicità del ceto intellettuale con la politica del malgoverno

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La Chiesa del X° e dell’XI° secolo fu preda dell’intromissione imperiale e del clero simoniaco. La decadenza della comunità cattolica romana, incapace di scrollarsi di dosso questa degenerazione, ebbe nelle eresie europee del basso Medioevo – che furono peculiari di non-dotti – l’unico valido alleato ancora prima della riforma ildebrandina. Tuttavia, si aprì una lotta senza quartiere, una feroce reazione della Chiesa contro queste nuove esperienze religiose, contro i concorrenti che in piena autonomia dottrinale reinterpretavano le scritture. 


Considerata l’estrazione sociale degli eretici, la guerra fu spesso una lotta all’ignoranza e alla povertà, ma il vero timore di Roma era quello di perdere il primato politico, la guida del popolo.
La democrazia è una delle religioni del nostro tempo, un sistema mitologico in cui vengono allevati gli aneliti di giustizia e libertà. Attraverso la democrazia presumiamo che la voce del popolo (la divinità efficiente del nostro pantheon, che come ogni divinità è creazione della classe dominante) scelga il miglior governo, il più giusto per gli interessi della collettività. Ma i sacerdoti di questa religione non sono mai stati espressione dei più; al contrario le élites di regime e l’interesse privato hanno sempre determinato nei fatti l’elezione dei rappresentanti del popolo.
Le aristocrazie intellettuali, schiave della necessità di avere un salario, hanno prodotto per la classe dominante l’ideologia utile al suo profitto, generando infine la convinzione che i vertici politici fossero anche vertici morali e intellettuali. Quest’opinione ha preparato il declino del sistema. Col tempo, i portavoce popolari sono passati da autorità della dottrina politica a specialisti dell’amministrazione corrente, senza che si riuscisse ad intercettare la decadenza, la reale corruzione della democrazia. Difatti, al tempo in cui le ideologie furono sostituite dalle narrazioni politiche, lo spazio morale lasciato vuoto ai vertici istituzionali è stato occupato da degenerazioni insopportabili delle rappresentanze democratiche.
Per conto loro, gli intellettuali, paghi del loro stipendio – che è la misura dell’obbedienza al sistema -, non hanno gridato allo scandalo. Abituati a facili e laute prebende in cambio dello scadente servizio offerto, hanno causato la marginalizzazione della lingua italiana, la soggezione della società alla violenza criminale, la sottomissione del pensiero ai bisogni materiali, la svendita della cittadinanza al potere del Capitale. Confusi con una dirigenza nazionale che inselvatichiva l’educazione scolastica, distruggeva il servizio sanitario e incrudiva l’inefficienza della magistratura, hanno offeso la dignità del cittadino, sporcato la natura, violentato il paesaggio, deturpato il patrimonio artistico, demolito quello civile.
La reazione popolare, autonoma e perfettamente in linea con le divinità del nostro tempo, è stata rabbiosa. Il progetto di democrazia compiuta, agitato in faccia alle classi abbienti, ha preteso per la collettività la realizzazione dei progetti annunciati e mai realizzati. La rifondazione dello spirito della democrazia e della morale civile ha fatto sentire in pericolo i ceti sedimentati nel malgoverno, timorosi di una verifica di tutte le competenze e di un riconteggio di tutte le retribuzioni. Cosicché, invece di celebrare la risorgenza civile, questi ceti hanno mosso il tradizionale attacco ai concorrenti politici, dubitando delle capacità culturali dei nuovi venuti, e denunciando la loro ignoranza.
Il vero razzismo sociale, la crociata che pare dichiarata contro la presunta inadeguatezza del popolo all’autogoverno, mostra ancora una volta l’inconsistenza del clero intellettuale e la sua funzione serva del dominante. La rappresentazione di una piramide sociale in cui gli intellettuali occupano un posto di rilievo suppone un’ingiusta stratificazione di ceti garantiti dal predominio assoluto della proprietà privata e dei diritti acquisiti. Costoro, dopo essersi meravigliati dei progressi del popolo nelle questioni amministrative, allo stesso modo dei prevosti di campagna di fronte alla perizia dei primi eretici con le sacre scritture, hanno scatenato attraverso la dittatura dei media la caccia all’ignorante, e troppo spesso in maniera del tutto formale.
Purtroppo, al tempo in cui Erasmo da Rotterdam lanciava nel suo Elogio della follia le sue accuse ai grammatici, l’ultima crociata contro l’eresia e l’ignoranza veniva perduta dagli intellettuali del clero latinista, e la Riforma proiettava l’Europa nella sua storia moderna. Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove, e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra; perciò riceverete maggior condanna. (Matteo 23:14 della Nuova riveduta).