I mesi concitati trascorsi dalla richiesta della procura alla decisione di agire. Quando i pubblici ministeri sono andati a porre i sigilli ai 106 milioni tutto il denaro contante era già passato nella disponibilità di Intesa
I pubblici ministeri Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori, titolari dell’inchiesta sul crac di BPVi, avevano provato a sequestrare i 106 milioni di euro, secondo la procura frutto dell’attività illecita della banca, ma quando si sono recati nella sede della Banca Popolare di Vicenza hanno trovato la cassa vuota. Tutto il contante, ovvero la banca “buona”, era infatti già passato a Intesa Sanpaolo dopo la firma dell’accordo col governo.
E i pm, ai quali il giudice per le indagini preliminari, Barbara Maria Trenti, aveva concesso il sequestro solo del contante e non per equivalente (che invece avrebbe consentito di prendere anche beni immobili o altri titoli) hanno dovuto, loro malgrado, fare marcia indietro e tornare a casa a mani vuote. A loro era rimasta infatti solo la cosiddetta “bad bank”: illiquida.
GIORNI CONCITATI. Siamo alla metà di maggio. Dopo circa quattro mesi dalla richiesta arrivata dalla procura, il giudice per le indagini preliminari Maria Trenti, decide di firmare e dare il semaforo verde al sequestro della somma indicata. Ma, allo stesso tempo, dichiara Vicenza incompetente a procedere in merito a uno dei reati ipotizzati (l’ostacolo alla vigilanza Consob) a favore della procura di Milano. Per i due sostituti berici una mossa spiazzante. Per eseguire il maxi sequestro il tempo è poco. La prima cosa da fare è capire se, effettivamente, Milano intende procedere. Un conflitto tra le due procure potrebbe invalidare la requisizione del denaro. Mercoledì 24 maggio Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori incontrano i colleghi del Primo dipartimento della procura di Milano che si occupano di diritto penale dell’economia, affari civili societari e reati finanziari. Pool coordinato da Fabio De Pasquale. All’incontro è presente ancheil procuratore capo Francesco Greco. Da Milano i sostituti vicentini tornano con una certezza: il pool meneghino non intende avanzare alcuna attribuzione sul fascicolo. Insomma, Vicenza può precedere sulla strada del sequestro anche perché i tempi si fanno sempre più stretti.
DA BANKITALIA. In procura sanno che devono fare in fretta, ma al contempo di doversi muovere con estrema attenzione. Stanno operando su un corpo, quello di BpVi, in condizioni sempre più critiche. Il maxi sequestro potrebbe infatti mettere definitivamente in ginocchio la banca. E di conseguenza i correntisti e pure le più semplici operazioni di cassa come il ritiro dei soldi dai bancomat. Tutto questo mentre dell’operazione con Intesa non c’è ancora nessuna certezza. Per eseguire il blitz, dunque, i pm chiedono ausilio a Bankitalia. Intanto, però, il governo conclude l’operazione con il Gruppo Intesa che assorbe la parte buona, la “good bank”, tradotto la liquidità di BpVi. E quando la procura entra finalmente in banca trova la cassa vuota. Restano i crediti deteriorati; le partecipazioni; gli immobili raggruppati nell’Immobiliare Stampa. Il tutto per un valore considerevole: oltre 4 miliadi di euro. Che però non possono essere toccati. Il sequestro concesso dal gip non è, infatti, per equivalente.
I 106 MILIONI. Per la procura i 106 milioni di euro che andavano sequestrati rappresentano il profitto diretto ottenuto dalla Popolare grazie agli aumenti di capitale “dopati”. A Vicenza è stata presa infatti la decisione di inserire anche lo stesso istituto di credito tra gli imputati. Una strada diametralmente opposta rispetto a quella intrapresa dalla procura di Roma che sta indagando su Veneto Banca che in quel caso viene però considerata parte lesa dalla cattiva gestione dei suoi ex vertici. Ed ecco perché i pm capitolini hanno stabilito di rivalersi sull’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli a cui è stato congelato il patrimonio finendo anche agli arresti domiciliari per qualche mese. Ma a Vicenza la storia sarebbe del tutto diversa. Qui, in base all’inchiesta coordinata da Pipeschi e Salvadori, i profitti degli aumenti di capitale non sarebbero andati a ingrossare i patrimoni degli imputati, ma quello della banca stessa. Operazioni che sarebbero avvenute violando una serie di condotte: ostacolando gli organi di vigilanza (Bankitalia e la Consob) nonché commettendo i reati di aggiotaggio e falso in prospetto. E per questo, oltre alla banca, in liquidazione amministrativa coatta, sono a processo anche sette dei suoi ex vertici. Ma la partita del maxi sequestro non è comunque da considerarsi ancora chiusa. Non è infatti escluso che la procura, una volta che il fascicolo su BpVi tornerà dalla Cassazione, torni a considerare l’ipotesi di procedere. Sperando che nel frattempo qualcuno degli asset della “bad bank”sia stato liquidato.
di Matteo Bernardini, da Il Giornale di Vicenza