di Marco Travaglio, da Il Fatto Quotidiano
In perfetta sincronia con l’Etna che erutta lava, i quirinalisti (seguono Sergio Mattarella e il Quirinale, ndr) di professione e di complemento eruttano bava. Uno tsunami di saliva tracima da ogni dove e rischia di sommergere il Quirinale, una nuvola d’incenso minaccia di oscurarlo, una gigantesca lingua potrebbe stritolarlo. Roba da allertare immantinente la Protezione civile e da riunire in seduta straordinaria il Consiglio Superiore di Difesa, per salvare l’incolpevole inquilino del Colle dall’annegamento.
Sono due giorni che i signorini grandi firme esaltano, magnificano, turibolano il fantasmagorico share raccolto da Sergio Mattarella con la tradizionale omelia di San Silvestro: Lui “ormai buca lo schermo” (Repubblica), “sbaraglia i numeri dei social” con “sorriso disarmante”, praticamente un “capolavoro” (Daniela Preziosi, il manifesto) perché è “l’unico vaccino contro l’isteria populista, il vero rivoluzionario custode della ragione” (rag. Claudio Cerasa, il Foglio), “ricorda il vecchio pudore, riporta alla luce il sorriso dolente della ragion di stato” ma anche “l’armonica semplicità” (Salvatore Merlo, il Foglio), “è sceso, con grande successo di pubblico e di critica, nella piazza virtuale dei social… ha innovato il mezzo e insieme ha rivoluzionato la scena e il senso di questo appuntamento rituale” perché ha messo nientemeno che “la sedia al centro dello studio… che significa il Quirinale come agorà e non come luogo verticale… Da italiano come gli altri… ha tracciato una Repubblica di Platone solidale” (Mario Ajello, il Messaggero).
È lo “stile einaudiano” dell’“Italia che ricuce” (Corriere della sera), “il custode della Costituzione ha svolto il proprio ruolo pedagogico all’insegna di una moral suasion ‘di prossimità’ e familiare cercando (nella postura, nelle riprese, nella location) di evitare che le sue parole suonassero ex cathedra” (Massimiliano Paranari, La Stampa), con “un discorso assolutamente completo. Descrive un Paese come dovrebbe essere… un Paese perfetto… meraviglioso… una favola” e ora, spazzati via i brutti vincitori delle elezioni, “il Paese favola deve diventare un Paese reale” con i governi di prima al posto del “governo Pinocchio” (Eugenio Scalfari, Repubblica). E guai ai putribondi politici (Di Maio & Dibba, Grillo e Salvini) che, sui social, si sono permessi di fare gli auguri agli italiani mentre già li faceva Lui: “irrispettosi” (Aldo Cazzullo, Corriere), “neopopulisti… tutt’altro che innocenti e piuttosto irriguardosi” (Paranari). Vergogna.
I nostri esegeti s’interrogano poi sulle ragioni profonde dello storico “boom di ascolti”: 10,5 milioni di telespettatori (più 2 sui social), 40% di share. Noi, senza offesa, azzardiamo un’ipotesi un po’ ardita: non sarà che il messaggio a reti unificate l’hanno visto in tanti proprio perché era a reti unificate? Cioè senza ”controprogrammazione” alternativa? Se uno gioca da solo a scacchi, il rischio concreto è che vinca lui: se c’è anche l’altro, è più complicato. Se Rai1, Rai2, Rai3, Rete4, Canale5, Italia1, La7 e Sky danno tutti lo stesso programma, che c’è di strano se lo vede il 40% degli italiani col televisore acceso? La notizia è che il restante 60% è riuscito a non vederlo, e ci piacerebbe sapere come ha fatto, visto che solo le tv locali e i canali specializzati in arte, storia, geografia, scienze, oroscopi e cartoon trasmettevano qualcosa di diverso. Certo, quel 40% comprende i molti cittadini che volevano sentir parlare il capo dello Stato, un po’ più numerosi dell’anno scorso perché ora c’è un governo mai visto prima e la curiosità era più alta. Ma c’è pure chi teneva accesa la tv mentre andava alla toilette o apparecchiava il cenone in attesa dei programmi successivi. E anche chi, alla vista del terzo Papa (dopo Bergoglio e Ratzinger), s’è addormentato di scatto per risvegliarsi molte ore dopo. Lo diciamo non per sminuire le cose giuste e condivisibili dette dal capo dello Stato, che fra l’altro non parrebbe proprio un malato di share. Ma per suggerire un pizzico di misura ai turiferari che stanno trasformando un antico e tranquillo democristiano in un nascente ed esagitato rivoluzionario. Calma ragazzi: è vero che Mattarella, restando se stesso, interpreta lo spirito dei tempi, cioè la voglia di tregua e serenità dopo mesi di scossoni e fibrillazioni, tant’è che Salvini da qualche mese è tutto gattini e Nutella e l’altra sera s’è affrettato a condividere un discorso opposto ai suoi, mentre Di Maio l’aveva preceduto definendo l’uomo del Colle “l’angelo custode del governo Conte” (e dimenticando l’impeachment annunciato e ritirato a fine maggio).
È vero che l’antropologia mattarelliana è agli antipodi di quella gialloverde. Ma la voglia di cambiamento degli italiani rimane, come dimostra il consenso altissimo sia del Colle sia del governo. E Mattarella piace perché accompagna i cambiamenti (nel bene e nel male) alternando elogi alle cose positive (la mediazione di Conte che ha evitato la procedura d’infrazione) e critiche a quelle negative (il cattivismo sui migranti, la tassa già sconfessata sul terzo settore…). E senza le invasioni di campo del precedessore. Perciò le speranze di una retromarcia sul 4 marzo guidata da Mattarella appaiono lievemente eccessive. “La svolta di Capodanno: la nuova strategia del Colle sul governo gialloverde”, “Mattarella sfida M5S e Lega” (Repubblica), “Cambio di stagione”, “una vera e propria svolta”, “un contro-programma istituzionale”, “un contro-contratto”, “uno strattone all’esecutivo”, “un cambio di fase”, “un salto di qualità” (Claudio Tito, Repubblica), “Mattarella va all’opposizione: botte al governo”, “Mattarella processa il governo. Ora è il capo dell’opposizione” (il Giornale). “Tra le due Italie il Presidente ne sceglie una” (il Messaggero), “Mattarella argine contro il cattivista” (il manifesto), “Come picchia un presidente. Le idee e lo stile di Mattarella contro il governo degli esagitati”, “Mattarella si conferma uomo dell’anno del 2018, forse del 2019”, “potrebbe presto riuscire un miracolo: far collassare come un soufflé il governo populista e creare le condizioni per far sì che non sia più possibile avere due follie sovraniste alla guida del paese” (rag. Cerasa), “Il ‘pater familias’ col gilet sfonda sui social” (il Giornale). Uno che “non grida e non insulta” (Ugo Magri, La Stampa), deludendo chi l’altra sera si aspettava che Mattarella mandasse affanculo tutti.
Poi ci sono i traduttori simultanei del Matta-pensiero. Secondo Claudio Tito di Repubblica, anche se non li ha mai nominati, il presidente ce l’aveva con la Raggi (“arrogante inefficienza”), con Di Maio e il suo reddito di cittadinanza (“allontana l’idea che provvedimenti dell’esecutivo possano essere davvero la vittoria finale sulla povertà”). E pensa che la maggioranza grillo-leghista sia illegittima (espressione di una “fittizia volontà popolare”: cioè, non li ha votati nessuno), oltreché “aculturale”, “incapace e ignorante”, “analfabeta” e rea di “piccole e grandi eversioni”. Il Merlo minor del Foglio è ancor più dettagliato nell’indicare i veri bersagli nascosti nell’omelia presidenziale, perchè “gli italiani hanno capito” già tutto, ma lui vuole che “capisca anche il governo”. Dunque, Mattarella ce l’ha, nell’ordine, con: chi “s’inventa l’attico a Manhattan di Saviano”; chi vuole “il reddito di cittadinanza e l’idea revanscista del taglio alle cosiddette pensioni d’oro”, che poi è “la cultura dell’odio sociale e della rivalsa, italiani contro italiani”; “San Giggino” che promette “miracoli” al posto di “San Gennaro”; Bonafede e il suo “pasticcio sulla prescrizione”; “un tal Toninelli che spiega a fisici e ingegneri come si fa a collegare Torino e Lione con…una pista ciclabile (battuta, ndr)”. Il Mattarella merliano, tra il lusco e il brusco, voleva anche dire che “si augura che Di Maio apra un libro di storia ogni tanto, ma il vicepremier (è sempre il Presidente che parla, ndr) appartiene a un gruppo umano che ha evidentemente un conto aperto con la società e a ben guardare anche con l’istruzione”. E che “mi sono accorto benissimo” che la manovra è piena di “cose sbagliate e pure incostituzionali”. Infatti l’ha firmata subito. Poi però ha telefonato a Merlo e s’è l’è fatta spiegare.