(Articolo sulla necessità di una generazione di costruttori di pace di Jacopo Maltauro su VicenzaPiù Viva n. 10, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Come costruire la pace? Tema complesso, a tratti fumoso, a tratti terribilmente concreto e oggi, ahinoi, incredibilmente attuale. La pace può essere intesa in diversi modi, con sfumature che cambiano sulla base dell’angolo visuale e del riferimento interpretativo che adottiamo.
La pace tra i popoli, come riflesso del quadro internazionale, la pace politica, come questione di rapporti istituzionali, la pace sociale, come sintesi positiva di rapporti interni, la pace economica, come equilibrio sano nei rapporti di “interesse”. Parlare di pace a 360 gradi, quindi, non ha molto senso se non nel tentativo di individuarne delle basi concettuali comuni, un denominatore comune da cui partire per puntare al risultato finale. Bene, credo che questa base trasversale nella concezione di ‘pace’ sia questione evidente proprio in questi giorni. Mi spiego meglio: per ottenere la pace intesa nelle sue diverse declinazioni, ci vuole un presupposto che le accomuni tutte. In poche parole, si arriva alla pace se si parte da una base relazionale tesa al riconoscimento reciproco, alla riduzione delle distanze politiche e sociali, alla risoluzione delle tensioni nei dialoghi: questo è il vero punto di partenza. Non si può costruire la pace senza adottare una base di partenza comune, ovvero, la capacità di dialogare sapendo adottare toni costruttivi.
Il contesto di oggi, che di certo non brilla per clima di pace, è infatti a mio avviso il risultato di una politica sempre più conflittuale e meno dialogante, più interessata alla competizione negativa che alla costruzione corale e a questo fine è chiaro che il mantenimento di toni costruttivi, attenti al riconoscimento reciproco piuttosto che al gusto della baruffa costante, diventa una premessa necessaria e indispensabile. È da questo che bisogna partire. Basti guardare quanto è accaduto negli USA a luglio. Un dibattito elettorale incandescente con due candidati alla presidenza che hanno passato il tempo a delegittimarsi a vicenda fino ad arrivare al ritiro di uno dei due e ad un attentato subito dall’altro competitor.
In un clima politico di questo tipo si fatica a costruire la pace, anzi, è evidente che si costruisce l’esatto opposto: la guerra. Allora quale spunto migliorativo si può offrire, come giovani esponenti politici e amministratori locali, se non quello di recuperare un po’ di umile curiosità nel dialogare con l’altro, riscoprendo quella pratica che per molti e per molto tempo è parso il male assoluto della nostra politica: l’arte del compromesso, dell’accordo.
Dobbiamo iniziare a praticarla dalle nostre comunità locali che amministriamo e dalle sedi politiche, associative, culturali che frequentiamo. Per taluni accorciare le distanze e tessere trame di dialogo risulterà un grande sforzo e magari anche poco ‘trendy’ in questa realtà sempre più social e meno sociale. Ma è uno sforzo che dobbiamo cominciare a fare perché il vero dramma dei nostri tempi non è la destra o la sinistra, questo o quel partito, ma una politica che complessivamente fatica a dialogare con coraggio e trasparenza. È un impegno con noi stessi, prima che con gli altri, a ritrattare abitudini, modalità, convinzioni personali ma è questo che ci può portare su una strada meno tortuosa di quella che abbiamo rovinosamente percorso negli ultimi tempi.
Per l’utopica pace nel mondo diamo avvio ad una meno utopistica e molto più pratica nuova stagione della politica italiana ed europea. La politica sia espressione di una nuova ‘generazione di costruttori’, oramai unica speranza per un prossimo avvenire di pace tra noi e, quindi, con gli altri.