Servizi sociali, Meritocrazia Italia: “C’è ancora tanto da fare”

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Il sistema di sicurezza sociale italiano nasce negli anni ’70, con il d.P.R. n. 616 del 1977, che trasferisce alle Regioni le funzioni amministrative dei servizi sociali e quelle di organizzazione ai Comuni.

Negli anni ’90, la nota legge Bassanini (n. 59 del 1997) introduce il principio di sussidiarietà, in base al quale le decisioni spettano all’organo di governo più vicino ai cittadini (il Comune), quindi da quello maggiormente in grado di interpretare i bisogni della comunità territoriale di riferimento, cercando di ottimizzare le risorse finanziare investite.

Tale principio ha portato allo sviluppo di modelli organizzativo-istituzionali che hanno valorizzato la collaborazione tra pubblico e privato.

La ridefinizione del rapporto Stato-Regioni-Enti locali si completa, infine, con l’introduzione della legge quadro di Riforma dell’assistenza, n. 328 del 2000, e dalla Riforma del Titolo V della Costituzione (l. n. 3 del 2001).

La legge di riforma dell’assistenza ridefinisce il profilo delle politiche sociali in Italia apportando tutta una serie di elementi di novità, e colma così un vuoto legislativo di oltre cento anni. Integra i servizi sociali con i servizi sanitari pubblici (o in convenzione) e tutte le diverse figure professionali nelle varie attività.

Ha il pregio di segnare in Italia il passaggio dal concetto di ‘utente’, quale portatore di bisogno specialistico, a quella di ‘persona’, da una tradizionale accezione di assistenza come luogo di interventi riparativi di un disagio, a una di protezione sociale attiva, luogo di rimozione delle cause del disagio ma soprattutto luogo di prevenzione e promozione dell’inserimento della persona nella società attraverso la valorizzazione delle sue capacità.

Insomma, l’attenzione si sposta dalle prestazioni monetarie volte a risolvere problemi di natura esclusivamente economica a interventi complessi volti a rispondere a una molteplicità di bisogni, oltre a passare dall’azione esclusiva dell’ente pubblico a un’azione svolta da una pluralità di attori quali quelli del terzo settore.

Alla gestione e all’offerta dei servizi, dunque, provvedono oggi i soggetti pubblici ma anche i soggetti del terzo settore quali: le Onlus, le cooperative, le fondazioni e le associazioni di volontariato.

La legge n. 328 vuole dare ulteriore valore, in materia di servizi sociali, all’utilizzo della “carta dei servizi”, creata nel 1994, al fine di informare i cittadini delle diverse prestazioni alle quali possono accedere, mentre conferisce un ruolo centrale all’assistenza domiciliare, che dovrebbe diventare il fondamento di tutta l’assistenza sociale.

Per la prima volta, inoltre, si istituisce un Fondo nazionale per le politiche e gli interventi sociali, aggregando e ampliando i finanziamenti settoriali esistenti, destinandoli alle programmazioni regionali e degli enti.

A distanza di oltre un ventennio, però, la normativa non è ancora del tutto applicata e risulta addirittura essere divisiva sul piano politico e culturale.

Eppure la legge n. 328 sembra aver avuto grandi conferme sui territori, tra coloro che quotidianamente operano nel sociale, ma non ha avuto altrettanta rilevanza dal mondo della politica, che ne ha marginalizzato gli effetti e limitato le potenzialità.

Tra le criticità maggiori riscontrate: il ritardo accumulato negli anni per la definizione dei Liveas (Livelli essenziali dell’assistenza sociale) e la mancata attivazione del Fondo nazionale.

È prevalsa la logica dei bonus, palliativi poco utili in una prospettiva di stabilità e lungo periodo. Nessun risultato potrà davvero essere raggiunto senza interventi strutturali su servizi e reti sociali.

Il periodo pandemico ha evidenziato quanto sia forte il bisogno di un rafforzamento dei servizi sociali che in realtà sono stati, di fatto, abbandonati e non rafforzati: ad oggi l’Italia, nonostante la spesa per l’assistenza sociale sia aumentata dal 2011, è il Paese che meno investe in tale ambito.

Con il fabbisogno in crescita, aumenta anche la necessità di nuovi investimenti in ambito sociale. Tale esigenza deve muoversi in parallelo con quella di ottimizzare e migliorare il processo di erogazione del servizio, ossia ottenere migliori risultati a parità di spesa.

Fondamentale è dunque:
– incrementare gli investimenti statali per garantire diritti sociali a chi ne è escluso, per poter dare loro livelli essenziali non procrastinabili; garantire in tutte le Regioni la stessa qualità dei servizi affinché si riducano le attuali differenze territoriali;
– implementare il numero degli assistenti sociali e potenziarne il ruolo attivo per fasce territoriali;
– incentivare l’assistenza domiciliare per anziani, non autosufficienti e minorenni;
– realizzare eventi e percorsi formativi ed informativi per gli operatori sociali, sanitari, scolastici e per le categorie professionali;
– creare un’anagrafe presso i Comuni delle fasce più deboli della popolazione, delle quali poter individuare i bisogni e le necessità, che sia sempre aggiornata e a disposizione degli operatori e volontario per gli interventi necessari;
– formare e sensibilizzare gli operatori sociali all’incremento della dematerializzazione dei processi d’aiuto, attraverso la Cartella Sociale Informatizzata, che favorisce la gestione on line di tutte le fasi del processo, dell’accoglienza, fino alla rendicontazione e al successo del monitoraggio.

FONTI
www.diritto.it Il sistema integrato di interventi e servizi sociali
www.istat.it La spesa dei comuni per i servizi sociali 23/02/2021
“Il percorso della legge 328/2020 prima, durante e dopo……” di Luigi Colombini 19/10/2020

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Fonte: Meritocrazia Italia

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