Di seguito l’omaggio di Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto, alla figura di don Luigi Sturzo
L’8 agosto del 1959 moriva a Roma don Luigi Sturzo, figura emblematica dell’impegno del cattolicesimo democratico e tra i sostenitori convinti del regionalismo e dell’autonomia necessaria per fronteggiare la burocrazia e l’invadenza dello statalismo.
Sacerdote siciliano fondatore del Partito Popolare nonché ispiratore di quell’Appello ai Liberi e Forti di cui quest’anno abbiamo ricordato il primo centenario. Da veneto, vorrei sottolineare il legame profondo e l’intensa collaborazione che unì don Sturzo al trevigiano Giuseppe Toniolo, convinto assertore della politica sociale della Chiesa.
Oggi, a 60 anni dalla scomparsa di don Sturzo ripensare alla sua opera e magari, tra le altre letture, rileggere la sua relazione conclusiva al Congresso del Partito Popolare Italiano che si tenne a Venezia nell’ottobre del 1921 non è un esercizio inutile, anzi. Nella parte finale di quella relazione, dopo aver più volte ribadito la necessità dell’autonomia degli enti locali e delle regioni, spiegando bene che l’autonomismo non significa di certo mettere a repentaglio l’unità nazionale, sottolineava come ‘Per noi il movimento regionalista non ha pertanto carattere di semplice base di circoscrizione territoriale per un migliore assetto degli organi statali, decentrati alla periferia, ha una caratteristica amministrativa organica autonoma: è una unità specifica, ragione della vita rappresentativa delle forze locali’. Pochi mesi prima di morire, il 24 marzo prima delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea legislativa siciliana lanciò un appello ai suoi concittadini pubblicato dal ‘Giornale d’Italia’ in cui evidenziava con rara forza profetica cosa avrebbe dovuto fare la Regione che ‘invece di tenere due o tre mila impiegati più o meno senza titolo nei vari dicasteri ed enti che ha il piacere di creare a getto continuo, ne tenga solo mille; ma contribuisca ad avere mille tecnici, capi azienda specializzati, professori eminenti, esperti di prim’ordine’.
Una lezione rimasta inascoltata ma che non ha perso di validità, come non ha di certo perso valore e significato il suo impegno per la democrazia che si radica nelle masse popolari e non certo nei salotti delle élite