Il 28 dicembre 1943 fucilati dai fascisti i sette fratelli Cervi: il 28 dicembre 2019 è necessario ricordare

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I sette fratelli Cervi
I sette fratelli Cervi

Salvatore Quasimodo: “Ai fratelli Cervi, alla loro Italia”

In tutta la terra ridono uomini vili,
principi, poeti, che ripetono il mondo
in sogni, saggi di malizia e ladri
di sapienza. Anche nella mia patria ridono
sulla pietà, sul cuore paziente, la solitaria
malinconia dei poveri. E la mia terra è bella
d’uomini e d’alberi, di martirio, di figure
di pietra e di colore, d’antiche meditazioni.
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Gli stranieri vi battono con dita di mercanti
il petto dei santi, le reliquie d’amore,
bevono vino e incenso alla forte luna
delle rive, su chitarre di re accordano
canti di vulcani. Da anni e anni
vi entrano in armi, scivolano dalle valli
lungo le pianure con gli animali e i fiumi.
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Nella notte dolcissima Polifemo piange
qui ancora il suo occhio spento dal navigante
dell’isola lontana. E il ramo d’ulivo è sempre ardente.
Anche qui dividono in sogni la natura,
vestono la morte, e ridono, i nemici
familiari,. Alcuni erano con me nel tempo
dei versi d’amore e solitudine, nei confusi
dolori di lente macine e lacrime.
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Nel mio cuore e finì la loro storia
quando caddero gli alberi e le mura
tra furie e lamenti fraterni nella città lombarda.
Ma io scrivo ancora parole d’amore,
e anche questa terra è una lettera d’amore
alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi,
non alle sette stelle dell’Orsa: ai sette emiliani
dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,
morirono tirando dadi d’amore nel silenzio.
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Non sapevano soldati, filosofi, poeti,
di questo umanesimo di razza contadina.
L’amore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.
Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,
non per memoria, ma per i giorni che strisciano
tardi di storia, rapidi di macchine di sangue.
4 dicembre 1955

Il 28 dicembre 1943 furono fucilati dai fascisti i sette fratelli Cervi. Sono passati 76 anni ma non possiamo dimenticare. Non è né giusto né sarebbe normale. Avere memoria è necessario specialmente oggi che stiamo vivendo tempi di recrudescenza del nazifascismo, della xenofobia, del razzismo e dell’odio verso il diverso. Tempi nei quali interi popoli vengono annientati dalle guerre scatenate dall’imperialismo.

Rileggiamo le parole del padre, Alcide Cervi, tratte dalla conclusione del libro “I miei sette figli”:

“A casa mia ho raccolto più di ottanta prigionieri, per lo più inglesi e americani, venivano stracciati e con i pidocchi, certi in mutandine, e ritornavano via puliti, vestiti, ingrassati. Le nostre donne lavoravano fino all’una di notte per preparargli i vestiti e le camicie, compravano perfino i polli per dare la carne fina ai feriti e agli ammalati, quando c’erano rimaste solo le galline da uova. Sette figli hanno pagato per queste opere di bene, e la madre se ne è andata con loro per crepacuore. E qual è stata la riconoscenza? Che fino ad oggi gli americani sono stati dalla parte di quelli che ci hanno bruciato cinque volte la casa e hanno distrutto la famiglia. Sono stati loro a dirgli bravi, ai persecutori dei comunisti, del partito dei figli miei. Alla larga, da questi amici! Ti fanno morire e alla memoria dei morti e a quelli che restano dicono crepa. E non vi illudete, voi che state al governo di avere più riconoscenza se volete continuare a dividere gli italiani. Si servono di voi e poi vi buttano via, perché non stanno mai ai patti e sono amici solo del loro capitale.”

Oggi l’indifferenza e l’ignoranza stanno trionfando e chi canta “Bella ciao” viene definito “estremista” da politicanti che, magari, hanno giurato su quella bellissima Costituzione che i Partigiani hanno scritto con la loro ribellione, il loro sangue e il loro sacrificio.

Oggi, più che mai, è necessario continuare la lotta dei fratelli Cervi, di Wally Pianegonda, di Antonio Giuriolo, di Carla Capponi, di Quirino Traforti, di Gennaro Di Paola, di Irma Bandiera, di Fiorenzo Costalunga (Argiuna), di Camilla Ravera, di Bruno Viola (il Marinaio), di Marisa Ombra, di Ismene Manea, di Gina Borellini … e di tutti i patrioti che con la forza della ragione e delle armi hanno liberato il nostro Paese.

Se non manteniamo viva la memoria di chi, noto o ignoto, ha lottato per un futuro migliore (quello che noi stiamo distruggendo con la nostra ignavia e l’oblio) la storia più cupa e tetra del nostro paese ritornerà e tutti saremo complici, impotenti e vinti.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.