Settimanali diocesani. Bianchi (Fisc) “Presenza fondamentale per la vita del Paese”

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«La comunicazione è a servizio della comunità, perché senza una comunicazione buona la comunità non cresce». Parte da qui don Adriano Bianchi, presidente nazionale della Fisc (Federazione italiana settimana cattolici), per analizzare l’impegno dei settimanali diocesani italiani. A conclusione del convegno nazionale, svoltosi nel fine settimana scorso tra Faenza e Forlì sul tema “Colori d’Europa”, don Bianchi afferma che “per esprimere giudizi compiuti sull’Europa occorre una maggiore informazione. Quando sui nostri giornali diamo spazio ai temi europei intendiamo portare l’Ue dentro le nostre realtà”».
Presidente, partiamo con l’analizzare il momento che stanno vivendo i settimanali diocesani e la Federazione. Qual è il loro stato di salute?
«Fisc e settimanali diocesani hanno ancora tante risorse di persone e sono una realtà sul territorio. In una situazione di trasformazione, ci sono persone che con passione e dedizione continuano a presidiare questo spazio e a servire le loro Chiese e comunità compiendo un lavoro quotidiano. Questo è un patrimonio,
diffuso in tutta Italia, fatto di dipendenti, volontari e collaboratori che svolgono un servizio cercando di raccontare al meglio ciò che accade nei propri territori».
L’impressione è che si faccia più fatica rispetto al passato. È così?
«Viviamo un momento di passaggio sul versante ecclesiale. Le diocesi continuano il percorso di ripensamento della loro comunicazione. Non sempre gli esiti sono positivi per i settimanali diocesani, ma a volte portano anche a dei rilanci e ad un’integrazione maggiore nella comunicazione diocesana. Perché come settimanali cartacei non siamo più da soli, ci sono le radio, c’è il mondo digitale con i nostri siti web».
Una sfida che i settimanali Fisc sono pronti ad accogliere?
«Bisogna accettare la sfida del cambiamento e mettersi continuamente in gioco. Forse siamo ancora un po’ resistenti a questo. Ma è comprensibile che chi da decenni svolge questo servizio a volte è fermo ad alcuni modelli e fatica a vedere qualcosa di nuovo. D’altra parte, pensare che passare all’online sia la soluzione di tutti i problemi, dimenticando un certo tipo di tradizione, è un atteggiamento sbagliato. Perché
il cartaceo ha ancora una sua importanza, smantellarlo d’improvviso significa far mancare il radicamento e il contatto con le persone.
Anche per questo bisogna provare a giocare una partita sapendosi cogliere dentro un percorso comune che è quello della comunicazione diocesana per rimodulare una presenza – magari aprendosi a passaggi generazionali – che rimane comunque vitale».
Altro tema che sembra essere un nodo scoperto è quello della sostenibilità economica mentre si è nel pieno degli Stati generali dell’editoria…
«Ci sentiamo un pochino traditi da uno Stato che attraverso una riforma chiede delle cose per poterti mettere a disposizione delle risorse. Un approccio che avrebbe permesso di fare pulizia in diversi ambiti perché
la legge premia sulle copie vendute, sul fatturato, sui ricavi. Criteri su cui come settimanali diocesani abbiamo camminato, facendo anche un investimento. Però adesso si ricomincia da capo.
Assicuriamo comunque di svolgere la nostra parte agli Stati generali in maniera costruttiva, con proposte mirate a salvaguardare il valore del pluralismo. Crediamo che quella dei settimanali diocesani sia e resti una presenza fondamentale per la vita del Paese».
In questa fase di cambiamento, mutano anche i potenziali lettori/fruitori e il loro senso di radicamento. Come la Fisc affronta questo orizzonte?
Non c’è dubbio che facciamo fatica ad uscire un po’ dai modelli classici. Quella della fruizione è una sfida per tutto il mondo dell’editoria. È chiaro che se sta cambiando la fruizione dobbiamo cambiare anche noi. Però non può venire meno il racconto di qualcosa che ci è prossimo. Questo rimane uno spazio di impegno per i settimanali diocesani. Perché siccome il luogo in cui sei nato e cresciuto ti segna, anche per un giovane italiano che un domani andrà a vivere in un’altra città o anche all’estero, sarà importante poter avere chi racconta quel contesto che ha conosciuto anni prima. Lo farà attraverso una pagina web o con un’App, ma lo potrà fare solo se ci sarà ancora qualcuno a raccontare quella comunità, a dare dignità di notizia alle storie di quel territorio».
Avete messo al centro del convegno nazionale il tema dell’Europa. I settimanali diocesani che posizione hanno assunto in vista delle elezioni del 26 maggio?
«L’Europa, così come il mondo, entra nelle nostre case, nelle nostre vite, nei nostri territori. Per questo
i settimanali diocesani sono attenti al processo di integrazione europea.
Del resto registriamo l’utilità, proprio sul versante europeo, di una maggiore informazione sulle istituzioni e le politiche comunitarie, e le opportunità offerte dalla stessa Ue. Osservo peraltro che se fino a qualche anno fa in Italia eravamo quasi tutti europeisti, adesso siamo passati a un euroscetticismo diffuso: tutto questo, paradossalmente, senza aver accresciuto le nostre conoscenze di base sull’integrazione comunitaria, su ciò che fa, o non fa, l’Europa per noi… Insomma, è cambiata l’aria, ma per esprimere giudizi compiuti sull’Europa occorre una maggiore informazione. Quando sui nostri giornali diamo spazio ai temi europei, anche grazie al servizio offerto dal Sir, intendiamo portare l’Ue dentro le nostre realtà».
In che modo?
«Nelle scorse settimane i nostri giornali hanno dedicato articoli, approfondimenti, interviste, editoriali all’Unione europea, spiegandone obiettivi, competenze, risultati. E questa settimana moltissime testate pubblicheranno altri contributi sulle elezioni del 26 maggio, invitando a
votare per rilanciare il “sogno” europeo e per sostenere quella stessa prospettiva europeista che è indicata da Papa Francesco e dalla Chiesa italiana.Mi pare importante, fra l’altro, che i settimanali cattolici tendano spesso a parlare di Europa dando voce ad esperienze e storie europee, magari di giovani che stanno vivendo l’Erasmus in qualche Paese Ue. Storie concrete, dalle quali passa, diretto ed efficace, il messaggio europeo».
Gianni Borsa e Alberto Baviera, inviati a Faenza e Forlì