Si vis bellum para pacem, Aduc: per Napoleone e….

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Si vis bellum, para pacem
Si vis bellum, para pacem

Tutto sommato questi tempi difficili potrebbero essere l’occasione felice per verificare empiricamente alcune inversioni del comune sentire rispetto alla realtà arrivando, ad esempio al “Si vis bellum, para pacem”. Viviamo nel mondo della razionalità che risolve tutto a parole, che sottopone tutto al cosiddetto pensiero critico – si legge nella nota che pubblichiamo a firma di Giannino dell’Aduc (qui altre note dell’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr) –.

La logica del discorso, il logos, non fa mai una piega, ma dipende tutto dalle premesse. Se le premesse sono fallaci le conclusioni possono essere deleterie. La logica ci dice che il sopra sta sopra il sotto e viceversa. La destra sta a destra della sinistra e viceversa. Non c’è discussione.

Ma da quando i filosofi hanno scoperto che l’Oriente è un concetto relativo e che ogni punto della terra è a sua volta oriente di qualche altro posto, le cose sono cambiate. Una conquista del pensiero. Ma con alcune conseguenze pessime per tutti noi, se si perdono proprio tutti i punti di riferimento. I poli si possono invertire fino a un certo punto. Un esempio di inversione indebita? Facili da capire sono il detto “il bue dice cornuto all’asino”, oppure quello più scemo “Cecco toccami… Mamma, Cecco mi tocca”.

I detti sono bonari ma aprono la strada all’attribuzione di responsabilità in caso di conflitto. Più difficile è il discorso quando il riferimento è esplicitamente rivolto alla guerra. Come nel caso del detto latino “Si vis pacem para bellum” che è sempre stato inteso nel suo significato apparentemente più ovvio. Se vuoi la pace prepara la guerra, come a dire se vuoi la pace armati fino ai denti per essere in grado di difenderti. L’umanità se lo ripete fino dal tempo del primo anonimo pensatore latino che lo mise in giro.
Un’infinità di retori ha poi ripetuto la massima come una filastrocca, divenuta luogo comune, tanto che sono stati chiamati Parabellum proiettili fabbricati per la prima volta in Germania, ancora in giro come cartucce per armi sportive. L’espressione ha però un altro significato meno diretto e più raffinato.

Per esempio ha il senso più profondo che solo chi impara a combattere comprende fino in fondo il significato di vivere in pace. Ancora, e in modo molto più sottile, la frase indica l’espediente molto praticato da diversi potenti per tenere unito il popolo. Un popolo unito si governa meglio di uno disunito e ribelle. Uno spauracchio esterno fa comodo in questi casi. Serve per la coesione sociale interna.

Per questo, si vis pacem para bellum, può significare che il capo ha tutto l’interesse a preparare la guerra con un nemico esterno (se non ce n’è uno vero se lo può inventare) per tenere calmo (in pace) il popolo. La paura del nemico serve per compattare le file
interne, militari e civili. La guerra esterna fortifica la pace interna. Quindi, se vuoi la pace interna prepara la guerra esterna. Questo senso diverge dal significato comune dato al motto latino.
Napoleone che di guerre se ne intendeva aveva adottato la versione inversa del motto, si vis bellum para pacem. È quasi certo che il generale Napoleone volesse dire che chi intende fare una guerra dovrebbe indurre altre nazioni a ridurre le proprie difese in nome della pace, promuovendola egli stesso.

L’Imperatore dei Francesi forse aveva in mente anche un altro significato. Visto il mondo come gira oggi, si potrebbe credere che intendesse dire che se una nazione si prepara alla pace può indurre un’altra a muovere guerra.
Interpretato così, ci dice tante cose sulla guerra tra Russia e l’Ucraina e pure sull’esercizio retorico di opinionisti e intellettuali televisivi protesi alla semplificazione che ribalta il senso vero delle cose umane.

Giannino – Aduc