Lo Stato di un Paese rappresenta l’essenza del Popolo. Si fa portavoce dei valori fondamentali e cerca di darvi attuazione in ogni ambito, dalla formazione, alla gestione economica, all’attenzione per le fragilità e i bisogni.
Lo Stato ha una responsabilità immensa.
È semplice accomodarsi sullo scranno della contestazione e puntare il dito, criticando senza lo sforzo di proporre e collaborare.
Dire che ‘nulla va bene’ e riferirne ad altri la causa è davvero semplice.
Chi invece è chiamato ad assumere le decisioni vive di equilibri precari, rischiando di perdere il consenso ogni volta in cui viene messo in forse un qualche privilegio acquisito. E si trova a dover lavorare fronteggiando quotidianamente polemiche, scioperi e gogna mediatica.
Per larga parte questo è dovuto al fatto che dapprima i cittadini hanno perso la propensione al cambiamento. Non hanno capacità di visione. Confondono le priorità. Mancano di passione ed energia.
E questo indebolisce anche lo Stato.
Siamo tutti distratti. I social network assorbono il nostro tempo e l’attenzione di tutti, senza limiti d’età. Permettono di avere facile visibilità, di guadagnare senza impegno, di raggiungere un qualche personale successo senza sacrificio.
Se i cittadini perdono la voglia di vivere la libertà partecipativa e dimenticano che il vero benessere è solo quello condiviso, a essere sconfitto è anche lo Stato, il cui motore dovrebbe essere alimentato proprio dalla cittadinanza attiva.
Vince un senso di apatia e di stanchezza. Restiamo travolti dal vortice degli impegni quotidiani, avvinti dalla routine, e non abbiamo tempo per preoccuparci di un mondo alla deriva.
Nella settimana di Carnevale, a metà del mese di febbraio, si sono registrati 10° in più sopra la media. 0° a 3.000 m sul mare. Lentamente ma inesorabilmente, si sciolgono gli ultimi ghiacciai rimasti sul versante alpino. Del processo di desertificazione che coinvolge l’intero territorio nazionale si legge ormai tutti i giorni sui giornali.
Dinanzi ai grandi disastri, noi cosa possiamo fare?
Intanto un grande contributo potrebbero darlo i colossi della Rete, con investimenti mirati alla tutela dell’ambiente. Le imprese tutte sono chiamate a condotte più eticamente responsabili. Dal lato suo, lo Stato deve agevolare questo tipo di iniziative.
Soltanto un anno fa o poco più l’arresto forzato delle attività produttive, connesse alle misure restrittive dovute all’emergenza pandemica, dava prova di quale peso le stesse abbiano quotidianamente sulla salute dell’ambiente. Con li lockdown si è registrata una inedita salubrità dell’aria. Il mare si è ripopolato di delfini.
Si dovrebbe recuperare il buono che ha accompagnato quell’esperienza drammatica e puntare al ripristino degli equilibri ecosistemici con un arresto, o almeno con una forte riduzione, delle immissioni nocive in atmosfera. Dovremmo ragionare su questo, proponendo premialità per le aziende più virtuose e incentivi per quelle disposte a riconvertire i propri piani produttivi.
Siamo noi, quelli che oggi possono cambiare le cose e invece scelgono l’inerzia, a scoraggiare i più giovani. Abbiamo contribuito a creare il peggiore dei mondi possibili, ricercando quelle comodità che ci hanno resi avari, sordi, indolenti. Ce la prendiamo con chi ci ha preceduto, per aver avviato un processo di industrializzazione senza freni, e con le generazioni successive, svogliate e incapaci di coltivare sogni e ambizioni.
Ciechi alle nostre responsabilità. Colpevoli di non aver mai lottato una battaglia che potesse dirsi giusta e di prospettiva.
Siamo quelli che si accontentano.
Fortunati per aver ricevuto in eredità diritti già conquistati e risultati di grandi rivoluzioni scientifiche e tecnologiche. Ma purtroppo incapaci di farne tesoro.
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Fonte: Siamo quelli che si accontentano