Nel 1928 Il Touring Club Italiano, nel raccontare il percorso lungo la via Appia, descriveva così la località di Scauri: “Si discende con un lungo rettilineo scorgendo subito a destra la piccola e bella insenatura di Scauri guardata dalla Torre omonima. Si susseguono parecchi opifici, alcuni importanti, per la lavorazione dei laterizi. Attorno al porto di Scauri si è andato formando un piccolo quartiere industriale con costruzioni moderne e di bell’aspetto“.
Gli opifici di cui si parla sono quelli di laterizi.
È una storia antica come la città, quella del legame tra Minturno e i laterizi. Si trattava già in epoca antichissima di una concentrazione di sostanza cretosa lungo la costa, per cui l’antica città Aurunca, e poi Romana, Minturnae, scelse di insediarsi lì. E poi la possibilità di esportare quei laterizi attraverso il mare, principalmente dal porto alla foce del Garigliano. Nacquero così importanti opifici, tra cui quello di C. Piranus Sotericus, il cui marchio è stato trovato su laterizi in tutto il Mediterraneo, o quello in cui lavorava lo schiavo Hermia, di cui ViPiù si è occupato già in altro articolo sulla Riviera di Ulisse
La materia prima era estratta prima direttamente sulla costa (è oggi evidente il dislivello tra il lato mare e il lato monte dell’Appia).
Il lavoro deve essere continuato anche nei secoli dopo la caduta dell’impero romano, visto che in alcuni rari testi sei-settecenteschi viene citata la presenza di fabbriche in quella località ai piedi del colle di Traetto (odierna Minturno). Fino ad arrivare alla fine dell’800, con l’unità d’Italia, quando a Scauri si insediarono ben quattro fabbriche di laterizi, come riportato da una relazione della Marina Mercantile del 1892: “In Scauri esiste l’industria dei laterizi ed attualmente vi sono quattro fabbriche, cioè, quella del Duca Carafa, di Baracchi e Bombici, di Capolino e di Del Vecchio. Attualmente si esportano circa tonnellate 23,00 di laterizi per la via di mare”.
Ma ben presto si insediò anche quella che poi è durata più a lungo: la fabbrica di laterizi “Sieci – fornace di Scauri” (popolarmemte nota come le Sieci) filiale di un’azienda alle porte di Firenze. La materia prima stavolta era disponibile nella zona di confine tra Minturno e Penitro, dove ancora oggi sussistono due laghetti creati proprio dall’estrapolazione della creta.
E per il trasporto, furono creati dei pontili nel mare per l’attracco delle navi. Ancora una volta era la via del mare quella privilegiata, e i laterizi delle Sieci e della Capolino sono stati esportati fino al Sud America.
Proprio in Argentina, poi, fu aperta una filiale della ditta Capolino e le maestranze arrivarono direttamente da Scauri. La Capolino italiana, invece, fu distrutta durante la seconda guerra mondiale. Le Sieci rimasero miracolosamente in piedi ed hanno continuato a lavorare fino al 1981.
Sono tantissime le storie che legano la popolazione locale a queste fabbriche. Era un territorio a prevalenza agricolo, e molte persone trovavano la via di fuga dalle fatiche dei campi lavorando nella fabbrica, o nell’indotto (per esempio il trasporto della materia prima). E non è da sottovalutare il ruolo della fabbrica nella costruzione della Scauri nel dopoguerra, quando intere famiglie riempivano carriole di laterizi scartati dalla fabbrica e li usavano per innalzare palazzine.
Poi nel 1982 l’azienda Sieci ha dichiarato fallimento, e l’imponente struttura è rimasta così, abbandonata sul lungomare. Acquisita dalla Provincia di Latina, passata poi al Comune, in quarant’anni non ha ancora trovato una valida collocazione nel tessuto socio-economico della città.
Si sono susseguiti numerosi progetti. Forse il più importante che poteva dare una svolta decisiva alla struttura è stato quello del 1994, in cui si prevedeva l’affidamento della gestione all’Università di Cassino, così da crearvi un polo didattico. Ma caduta una giunta, quella successiva non ha continuato il progetto. Le Sieci sono quindi finite in altre mani con l’intento di ricostruirne e valorizzare il prezioso esempio di architettura industriale. Ma non è mai accaduto e ancora oggi si parla di progetti di riqualificazione e nuova destinazione d’uso, mentre nel frattempo le mura sono diventate decrepite, la natura ha invaso gran parte del terreno e quel prezioso reperto industriale rischia di crollare a pezzi. Facendo quindi il gioco di chi vorrebbe acquisirne lo spazio (magari abbattendo le mura) per fini prevalentemente commerciali o edilizi.
Non resta che sperare in un intervento concreto da parte dell’amministrazione che nascerà dalle prossime elezioni per il recupero e il reimpiego di quella che è un’area altamente caratteristica di Scauri. Oltre ad essere l’esempio ancora vivo della storia, millenaria, di questo territorio e di questa popolazione.